Regia di George A. Romero vedi scheda film
Agli albori del Novecento la psicanalisi interrogava l’Arkè. Totem e Tabùdi Freud attinge, come già avevano fatto Lévy-Bruhl e James Frazer, al ramo d’oro delle Origini. Al Mito ricorre il dottor S. per catalogare e denominare le patologie della psiche. Alla Mitologia: Edipo, Elettra, dalla tragedia greca alle tragedie del secolo della Nevrosi.
Non meraviglierà nessuno, se nell’era del Disastro, non c’è sociologia che inventi o scopra nulla che il cinema non abbia già indicato nello spazio invisibile in cui si annidano i fantasmi dell’orrore. Né che un filosofo lacaniano, Slavoj Zizek, beffardamente intitoli un suo saggio Benvenuti nel deserto del reale, prendendo a prestito l’alea da Matrix, corredando la sua indagine con altri innumerevoli visioni filmiche [The Pervert’s Guide to Cinema, 2006].
Il cinema offre, dunque, materia alla scrittura di saggi e studi sulla moderna, schizofrenica civiltà all’apice della paura. I pensatori non hanno l’occhio lungo di Swift che prefigurò, diventando pazzo, il Secolo dei Lumi, né la razionalità visionaria (l’ossimoro è d’obbligo) di Orwell che anticipò con un eccesso di ottimismo la società del Grande Fratello.
Il mondo ha preso una piega più amara di quanto la mente di scienziati, filosofi e matematici potesse presagire. Uno dei più grandi pensatori del nostro Nuovo Millennio, David Cronenberg, aveva vaticinato con terrificante anticipo, nel secolo scorso (il Tempo è diventato liquido, vedi Zygmunt Bauman) la potenza divorante dei nuovi mezzi di comunicazione, segnatamente il Totem-Televisione.
John Carpenter non era stato preso sul serio quando aveva accresciuto l’incubo orwelliano, popolandolo di mostri ed ectoplasmi: un regista di b-movie chi lo prende sul serio!, roba da drive in. Ma George Romero ha più di ogni altro descritto la mappa dei disastri contemporanei che tutti avevano sotto gli occhi e non vedevano. Se ne fece cantore l’indimenticato Enzo Ungari nel suo Immagine del disastro: cinema , shock, tabù(saggio del 1975 e Mostra di Venezia, 1979).
Della mitologia del disastro, Romero è stato l’Omero del XX secolo.
Il bellissimo Diary of the Dead aggiunge nuovi tasselli al mosaico-puzzle della crittografia dell’orrore, moltiplica i punti di vista dei mille aggeggi che imperversano nello scrutare tutti gli anfratti nei quali si cela l’orrore: cellulari di nuova generazione moltiplicatori di immagini, sofisticate camere che ci spiano negli spazi pubblici, una tecnologia raffinata cui sfugge un’informazione esiziale, LA MORTE DELLA MORTE, scritta a lettere cubitali nell’incipit del film.
Non è più questione di sapere, meglio, è in ballo la certezza di sapere se sappiamo, se conosciamo la verità, se ciò che ci viene fatto vedere è ciò che realmente sta avvenendo.
Romero infittisce il dilemma: il caos informativo genera disinformazione, come aveva intuito oltre mezzo secolo fa Umberto Eco in molteplici articoli divulgativi). Da questa incertezza, nasce un’altra incertezza, quella dello spettatore: qual è la verità che Romero vuole raccontarci? Quella di Jason Creed che si sacrifica per filmare fino alla fine (come la scimmia di Cameraman) o le infinite verità che vengono propalate dai rassicuranti mass media?
Ma se Giasone ha individuato gli Argonauti nei neri che si impadroniscono il potere, ci sentiamo rassicurati; se gli Argonauti sono i poliziotti sadici (che hanno il loro pendant nei brutti ceffi di Tokyo Gore Police di Nishimura), bene!, non c’è da stare allegri, è anche aria di casa nostra. Romero ci racconta la verità.
The Captain Intangible: Any Other Way
So I'm fucking off/don't miss me/don't
So you gave it your all/still fell apart/don't cry/don't
It won't change a thing to want it any other way.
It won't change a thing
Don't It won't change a thing to want it any other way.
[http://www.youtube.com/watch?v=Gobe8XBya60]
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