Regia di Ang Lee vedi scheda film
Che bello farsi trasportare negli anni '60, nell'America puritana, ebrea e rurale che veniva sferzata da un vento di rivoluzione che portava nuove istanze radicali di conquiste sociali e di mutamenti nel costume, nonchè nuovi riferimenti musicali che esprimevano attraverso il linguaggio del rock'n'roll quegli stessi cambiamenti in atto. Ang Lee ci trasporta in quegli anni e in quei luoghi calandoci in quella realtà con rigore e realismo davvero convincenti. A livello emotivo posso riscontrarlo anche personalmente: in quegli anni ero piccolissimo, ma qualcosa evidentemente la mia menoria in qualche angolo remoto deve aver conservato, anche perchè ricordo che -pur giovanissimo- ero un divoratore delle riviste italiane musicali dell'epoca, che parlarono dell'evento in toni esaltanti. Ang Lee è riuscito perfettamente a raccontarci con toni pacati e senza troppe scosse, lo sfondo di quei "tre giorni di pace amore e musica", visti con gli occhi di un ragazzo che a quei tre giorni contribuì fortemente, ma con umiltà ed onestà, senza pretese, via via sempre più elettrizzato dalla consapevolezza che sia la sua giovane vita sia tutto il mondo e la società intorno a lui erano alle soglie di uno straordinario cambiamento. Il punto è che per capire lo spirito del film è indispensabile collocare quanto vediamo sullo schermo in un'epoca circoscritta, astrarsi completamente dal resto, ed abbandonare ogni percezione di come sono la musica e la società ADESSO, perchè collegare al presente quei volti e quei suoni e quei ragionamenti, potrebbe portarci ad una deriva schizofrenica. E infatti pare di vivere in un altro mondo e su un altro pianeta. Troppe cose sono cambiate, e dipende dal nostro punto di vista considerare se in meglio o in peggio. Secondo me decisamente "in peggio", ma mi fermo qui anche perchè l'etichetta di "vecchio nostalgico" è fastidiosa e scomoda da portare. E poi sarebbe banale argomentare (farneticare?) che il capitalismo ha ucciso molte di quelle istanze di libertà, o che le ha sfruttate economicamente snaturandone l'essenza. Da una parte sarebbe molto malinconico ragionare in questi termini, se pensiamo ai mutamenti intervenuti nel frattempo: basta ad esempio considerare a come il terrorismo abbia determinato una restrizione delle libertà personali, probabilmente in modo anche eccessivo, il che ha neutralizzato molte conquiste di spazi individuali perseguite negli anni di cui stiamo parlando. Oppure pensiamo al rapporto tra emancipazione sessuale estrema (un "must" del movimento hippie) e la brusca frenata determinata dal fantasma dell'AIDS...ma tante e tante sarebbero le tristi conclusioni a cui arriveremmo se volessimo analizzare lo stato delle cose rispetto agli ideali propugnati dai pacifisti libertari nei sixties. Ecco, in definitiva, io credo che se si commette l'errore di ragionare su quegli anni con la mentalità di oggi, se ne esce sconfitti su tutti i fronti. E dico questo senza nascondere una certa invidia verso chi quegli anni di rivolta (anche nel proprio piccolo e indirettamente, voglio dire) li ha vissuti da adulto, o da adolescente già consapevole (non come me che ero ancora bambino), perchè ha potuto respirare un'aria assolutamente irripetibile. La genialità di Ang Lee sta nell'aver scavato nel cuore e nella mente degli uomini che furono testimoni dell'Evento Woodstock, sia a livello materiale di supporto e di organizzazione, sia come semplici cittadini travolti loro malgrado da qualcosa di cui non capivano la portata socio-culturale devastante. Il film racconta fatti e personaggi realmente esistiti, traendo la sceneggiatura da un libro di successo, e questo rende ancor più interessante e credibile tutta l'operazione, perchè di quelle persone Ang Lee ci restituisce perfettamente gli atteggiamenti, i timori, le reazioni rabbiose, la volontà di costruire assieme una eccitantissima Grande Novità. Con un riguardo particolare, delicato, amabile e rispettoso, ai caratteri personali e ai pensieri più intimi dei tre protagonisti, descritti con uno sguardo di profondissima umanità. Tre personaggi indimenticabili. Intanto il giovane protagonista, Elliot, impersonato da un bravissimo Demetri Martin, un classicissimo bravo ragazzo di provincia il quale viene progressivamente sconvolto dalla conoscenza che esiste un "altro" modo di vivere e di rapportarsi col prossimo. E molte sono le cose che Elliot scopre strada facendo (racconto di formazione, più che mai!), innanzitutto la sua natura omosessuale che egli affronta con grande serenità, poi naturalmente tutto il prevedibile repertorio di apertura mentale indotta da una prima esperienza col consumo di droghe "da viaggio", senza trascurare - va da sè- il famoso "free love" che fu un pilastro delle "tendenze" dell'epoca...Il giovane Elliot uscirà da quell'esperienza con una visione del futuro innocente, eccitata e piena di speranze, praticamente un altro uomo rispetto a quella nullità che era "prima della cura". E soprattutto ne uscirà con una consapevolezza che gli permetterà di vedere con altri occhi, e con un rinnovato carico di affetto, i due anziani genitori. Ecco, sono loro, i due vecchi, i due capolavori del film, sia a livello di sceneggiatura che di talento attoriale. Henry Goodman straordinario nelle vesti del padre di Elliot, un uomo malato, sfiancato, piegato, ma custode di una umanità e di una sensibilità profondissime che lui cela dietro un'immagine burbera, ruvida e taciturna. Ma quando, verso la fine, cerca il contatto col figlio per confessargli i suoi sentimenti, l'effetto è (almeno per quanto mi riguarda) molto commovente. E poi, naturalmente, la "perla" assoluta del film, una SONTUOSA Imelda Staunton. Ecco, io verso questa donna provo da anni un'autentica adorazione. Una delle più grandi attrici viventi, una a cui (è un mio modo di dire) bisognerebbe fare un monumento. Immagino che la signora Staunton possieda a casa sua una bella sfilza di premi (ricordo la Coppa Volpi per il suo capolavoro "Vera Drake"), ma penso proprio che anche questa sua ultima interpretazione (clamorosa) meriterebbe un riconoscimento ufficiale. Non ci sono parole per descrivere la sua adesione al personaggio di questa donna "disturbata": bisogna solo vederla al cinema e applaudirla. Se proprio vogliamo trovare un difetto al film, possiamo rilevare un andamento a tratti un pò "rallentato". E poi (ma questo non è un difetto, diciamo che è un elemento fisiologico) temo che per un pubblico giovane possa risultare un pò "impenetrabile" nel suo spirito. Infatti gli adolescenti di oggi immagino si divideranno tra coloro che lo troveranno alquanto noioso e chi invece ne resterà sedotto leggendolo in divertita chiave vintage. Per gli adulti invece, il coinvolgimento è garantito, almeno per coloro che sanno cosa stanno andando a vedere al cinema. E non commettiamo l'errore di giudicare con sufficienza il lato più esteriore di quella ricerca di libertà: lo so che può apparire tutto così ingenuo, infantile, perfino sciocchino, ma se contrapponiamo ai fiori nei capelli, agli slogan pacifisti e al "libero amore", tutta una serie di "effetti collaterali" prodotti da un Capitalismo Selvaggio che non riesce neppure più ad uscire da una crisi che esso stesso ha generato, beh, forse quelle ingenuità ci sembreranno meno banali. E per restare in questo territorio, vorrei concludere con una immagine estrapolata dal film, un'istantanea non fondamentale e tutto sommato minima, ma che mi piace segnalare come emblematica. Un poliziotto in divisa che percorre in moto la strada che porta al luogo del concerto, con un bel fiore piazzato in cima al suo casco di motociclista.
PEACE & LOVE a tutti.
Voto: 9/10
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