Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Grande film di Kubrick, che dopo molte rivisitazioni - e la rilettura del romanzo - ho faticosamente e molto modestamente commentato.
Quella che nel bellissimo romanzo di Nabokov era l’attrazione pedofila inconfessabile di un uomo d mezz’età per la dodicenne Dolores Haze, dall’aria maliziosamente candida, nel grande film di Stanley Kubrick, sceneggiato insieme allo stesso Nabokov, diventa la passione folle di un uomo di mezz’età per un’acerba signorinetta che si chiama, come nel romanzo, Dolores Haze – detta Lo, o Lolita – (Sue Lyon), ma ha due anni in più. La fissazione amorosa è talmente devastante da sconvolgere l’esistenza del professor Humbert Humbert (grande James Mason), stimato intellettuale, che, per amore di lei, diventa, come nel romanzo, l’assassino spietato di Clare Quilty (Peter Sellers).
La scelta di invecchiare di pochi anni la protagonista era stata resa necessaria dal permanere, ancora all’inizio degli anni ’60 – il tournage del film iniziò nel 1962 – del Codice Hays, che il regista non poteva né voleva mettere in discussione: due anni bastavano per evitare l’accusa di illegalità e permettere allo scabroso soggetto di Nabokov di diventare il grande film che inizia laddove il romanzo si conclude: l’assassinio di Quilty, il commediografo trasformista, al quale il professor Humbert Humbert non poteva perdonare di avergli portato via la “sua” Lolita (Sue Lyon).
Il capovolgimento dell’ordine narrativo è molto importante: evita che la ricostruzione storica della perversione di Humbert, contenuta nei primi capitoli del romanzo, incontri da subito l’opposizione della censura e permette invece di dare un notevole rilievo alle immagini della casa di Quilty, sottolineandone la caoticità indifferenziata, emblematica della mediocrità degli intellettuali più noti e popolari del nuovo mondo: riproduzioni di quadri e di ritratti famosi, antiche ceramiche, palline da ping pong, cartacce e spartiti musicali, bicchieri rotti o usati come portacenere, un’arpa e un pianoforte, costumi da antichi romani, guantoni da pugile si affastellano in un penoso e indistinto marasma, perdendo ogni interesse estetico e ogni funzione.
Nel lungo flashback che segue e che ricostruisce la storia della passione di Humbert iniziata, per caso, quattro anni prima, a quegli oggetti rimandano le immagini della casa più modesta, ma non priva di pretese, di Charlotte Haze (Shelley Winters) madre della quattordicenne Lolita che vive con lei.
Siamo a Ramsfield, nel New Hampshire, dove cerca un alloggio per l’estate, il professor Humbert Humbert, appena arrivato dall’Europa prima d trasferirsi in autunno nell’Ohio a Beardsley, dove è atteso per una serie di lezioni.
Nella casa di Charlotte sono numerose le riproduzioni seriali di dipinti famosi, non manca un poster pubblicitario, né qualche oggetto lasciato in giro da Lo, insieme a un calzino sporco, né il vaso delle ceneri del caro estinto, ovvero il primo marito.
Parole in libertà, una mescolanza di cortesia confidenziale e luoghi comuni sui problemi ancillari e infine l’elenco dei propri meriti progressisti al Club dei libri – addirittura , grazie a lei, Clare Quilty, il più ammirato autore televisivo del momento, era arrivato a Ramsfield – basterebbero per allontanare Humbert dall’idea di affittare quell’alloggio.
Fu, come sappiamo, la visione inattesa di Lolita nel giardino di casa a fargli rapidamente cambiare idea: incantato e turbato dal misto di “tenero e sognante infantilismo e di impressionante volgarità” della ninfetta, Humbert dimenticò presto gli orrori kitsch della casa e la vacua banalità dei discorsi di Charlotte e accettò di trattenersi, imparando presto a destreggiarsi fra le allusive profferte amorose di Charlotte e l’attrazione desiderante per la fanciulla, inizio della tormentosa passione, camuffata da interesse paterno, per lei.
La scansione narrativa del film, diversa, come ho detto, da quella del romanzo, inoltre, permette al regista di procedere per episodi nel racconto della passione di Humbert, rispettando per lo più la successione temporale degli accadimenti più importanti, staccati dalla dissolvenza in nero, che, lasciando all’immaginazione degli spettatori anche le scene di esplicito sesso, avrebbe evitato ogni intervento censorio.
L’erotismo, in realtà si avverte nel film, insieme al sotterraneo tema incestuoso: la figura di Humbert è anche figura paterna, il personaggio è sfuggente e perciò stesso molteplice: pazzo d’amore o innamorato ossessivo? schiavo della figliastra o tirannico padre? intellettuale colto e mite o vendicativo - e tardivo - amante tradito?
A ben guardare, i personaggi più rilevanti del film sono tutti molto sfaccettati e difficilmente definibili: Lolita è una ninfetta bugiarda e un po’ sadica o è semplicemente una giovane ribelle che, come tante altre vorrebbe incontrare l’uomo dei suoi sogni, accontentandosi poi di sposare un uomo tranquillo che la ama davvero, e col quale metterà su una famiglia in Canadà?
E Quilty, chi è? È sicuramente un attore mediocre, un abile regista televisivo di facili pièces, che accontentano i facili gusti, solo apparentemente sofisticati della velleitaria middle class americana, che vanta origini europee, ma che l’Europa non conosce affatto. È un uomo senza qualità, ma anche un sopraffino furbastro, profittatore debosciato delle debolezze ingenue delle lolite americane, tutte Coca Cola e patatine come Lo, ma, infine, come tutti, ha davvero paura di morire, e riesce a suscitare anche lui un po' di compassionevole solidarietà.
Un grande film, presentato a Venezia il 4 settembre 1962
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