Regia di Philippe Claudel vedi scheda film
Bisogna arrivare agli ultimi venti minuti di questo film per apprezzarlo ed è, a mio parere, il suo limite…. o forse il suo pregio. La prima parte è ricca di molti deja-vu. Difficoltà di reinserimento nella vita normale, diffidenze, pregiudizi al limite dell’ostilità, rifiuti, presunzione di molti pronti a “capire” stati d’animo e conflitti comprensibili solo da chi li prova in prima persona. Poi la storia del primo poliziotto che pare avulsa dal resto ma, complessivamente, è un film che si lascia vedere anche se sconta alcune ripetute prevedibilità. Lo stesso ritrovamento dei referti medici fa giungere anticipatamente alle conclusioni. Comunque, nel finale, si eleva in modo potente e assume spessore nel dramma della protagonista anche se appare assai autolesionista, ma forse liberatoria, la scelta di scontare per intero la pena inflittale. E’ un dramma che si rivela come volutamente vissuto in totale solitudine, di tormentata intimità, sofferto all’inverosimile, meditato, forse elaborato ma che rimarrà per sempre inconsolabile. Peccato perché con qualche variazione di sceneggiatura poteva essere un film di continuato ed elevato coinvolgimento emotivo. C’è qualche leggerezza di troppo in nei primi ¾ di pellicola, ma due ore d’intrattenimento di ottimo livello le garantisce se non siete troppo esigenti. Ottima Scott Thomas. Cito una parte del dialogo finale che mi è piaciuta tanto. “Spiegare è solo cercare delle scuse. La morte non ammette scuse”. Il mio giudizio è vicino alle quattro stelle ma non le raggiunge. Arrotondo per difetto.
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