Regia di Mark Herman vedi scheda film
Un film sull’Olocausto prodotto dalla Disney, diretto da Mark Herman (quello di Grazie, signora Thatcher) e interpretato da due bambini di otto anni: Shmuel è ebreo e vive rinchiuso dietro il filo spinato di un campo di concentramento; Bruno è figlio di un ufficiale nazista che si occupa dell’organizzazione della “soluzione finale” e che si trasferisce con tutta la famiglia in una casa adiacente a un campo di lavoro. Le premesse non erano buone: una confezione patinata, la musica avvolgente, un’elegante ricostruzione storica, una narrazione iscritta nei canoni di una pacata rappresentazione, dove ci si sdegna nella giusta misura per i crimini degli uomini e la crudeltà della Storia. La storia di un’amicizia tra due bambini divisi dalla guerra ma che si riscoprono simili poteva risolversi nel solito drammone strappalacrime alla cui fine brilla la luce della speranza, la possibilità della riconciliazione. Come in La vita è bella abbiamo un bambino a cui tutti, in primo luogo la famiglia, raccontano la favola della guerra. Gli adulti dicono bugie sulla vera natura del campo di concentramento e Bruno vive in una dimensione incantata dove la fantasia contraddice e incrina i segni del reale. Ma al contrario rispetto al film di Benigni, il bambino decide di entrare nella costruzione fantastica e di dare corpo ai propri fantasmi. Il viaggio di Bruno è un’esplorazione dentro il buio assoluto della menzogna per cercare di verificarne la tenuta con i propri occhi. Tratto da un libro dello scrittore irlandese John Boyne, Il bambino con il pigiama a righe non arretra di fronte alla radicalità delle proprie premesse: isolare l’infanzia in una dimensione immaginaria con la speranza si salvare la parte migliore di noi stessi non serve a nulla. Non ci sarà nessuna redenzione dalla colpa.
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