Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
La camera digitale, la Red, dà probabilmente la sensazione di contatto a fior di pelle con l’oggetto della rappresentazione e nella seconda parte della biografia di Soderberbergh, come già nella prima, lo spettatore sta vicino al Che mentre attraversa con i suoi fedeli la foresta: rumori, cespugli, alberi e animali nelle stalle, sentieri e villaggi arroccati in cima alla montagna, bambini sudici e viandanti sopraffatti dalla miseria, respiri e visi sfigurati dalla fatica e dalla malattia, dogmi a mezza voce e parole d’ordine secche come colpi di mitra sospingono in una vaga lontananza le ragioni più profonde del divenire storico e i suoi attori. Il racconto puro della peripezie fisiche dell’eroe tragico, difensore dei deboli, sostituisce l’analisi e, in questo caso, persino l’interpretazione mitica trasfigurante. La rigorosa sobrietà monocorde della pellicola scaturisce quindi dall’intento di non dire troppo e di non svelare gli eventuali retroscena scabrosi dell’idolo: il carisma del combattente generoso e i suoi cultori planetari sono sostanzialmente rispettati, eppure l’ammirazione dovuta all’idealista rivoluzionario sacrificato dal tiranno boliviano con la complicità della CIA non riesce a trasformarsi in empatia e a risollevare l’atmosfera da incolore cinegiornale. Persino l’indubbia compartecipazione emotiva di Del Toro alla passione del personaggio interpretato fa fatica a trovare una collocazione coerente in uno spazio esterno che non gli offre appigli se non lo stillicidio di una folgorante agonia: “io credo nell’uomo” ribadisce, religiosamente, un Guevara sconfitto al giovane carceriere incuriosito dal noto guerrigliero e il sogno si infrange su un casuale strascicarsi di piedi di comparse su un pavimento sporco. Mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it
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