Regia di Mark Osborne, John Stevenson vedi scheda film
Rutilante, prevedibile, e con tanto di animali al seguito. Dopo le bestie dello zoo, le api, i gatti, gli asini, gli squali e le formiche, la Dreamworks prova ancora una volta a fare invidia all’Arca di Noè. Ed ecco, bell’e pronti e cucinati, un panda, una tigre, una vipera, una scimmia, una gru e una mantide (ah no, dimenticavo il grosso leopardo e un illuminato procione o panda rosso che dir si voglia).
Seguono a ruota le debite prove da superare, gli allenamenti e l’istruttore-maestro un po’ ostile (ma solo fino ai ¾) che cerca di fermare il ritardato fisico. Nessun vero inno alla diversità ne’ alla minoranza: lo sbadiglio è sollecitato a ogni zampa sospinta. Non c’è nemmeno identificazione, solo noia e distacco: il Pre-Scelto in arti marziali sa di muffa, è flaccido e ridicolo ma non quel tanto che basta per farmi ridere.
Nonostante urti involontari a cose e persone, ruzzoloni, capitomboli, fiatoni causati dalle scale o da corse, il Pandone non graffia, non vola, non ha veleno ed è molle. Esemplare “spaghettaro” predestinato, concepito e padroneggiato da quei burattinai senza fili della produzione i quali sviluppano una storia dal ritmo singhiozzante inserita all’interno di un contesto solamente scenografico, muore prima ancora di evolversi psicologicamente.
Una storia che non porta con se’ niente di nuovo: tra dragoni, mosse di kung fu stantie, battute insipide e scrittura balbettante, ci obbligano pure alle solite frasi sagge e pedanti dei vecchi citando pallidamente “Karate Kid” pur senza le suggestioni e lo stile del film di Avildsen. Lo strabuzzamento di occhi perpetuato dal Pandone per tutto ciò che è realizzazione del sogno (solo che la meraviglia è infinita e stanca già dopo i primi 10 minuti) sorprende per quanto sia inutile. Il personaggio imbranato e solitario che diventa un eroe è antiquato e poi è descritto male, non supportato da una sceneggiatura sgraziata e mai padroneggiata. Aggrava la situazione il doppiaggio monocorde di Fabio Volo: piatto, mesto e con pesanti inflessioni dialettali del tutto fuori luogo.
La regia si adagia su un gran vorticare di inquadrature che ormai sembra essere un “must” se si vuole evitare che i pargoli grandi e piccoli si addormentino: quindi via libera all’azione fracassona, ballonzolante, guerresca, improbabile a più non posso, e chi se ne importa dei significati o dei contenuti… tanto la memoria dello spettatore è cancellata un bel po’ e avvertirà subito l’impressione di sazietà che basterà a fargli bollare il film come “carino”.
Vado a sfogarmi con le rivisitazioni orientali in stile Tarantino; lasciatemi alla mia pace interiore. Grazie.
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