Regia di Andrea Molaioli vedi scheda film
Nella soffocante ma ariosa cornice di una piccola località del Friuli avviene qualcosa di anomalo ed incredibile: un delitto, apparentemente inspiegabile. Una ragazza ben voluta da tutti ma con qualche segreto di troppo da custodire, sia riguardo se stessa sia delle persone che più le sono state vicine. Rinvenuta alla riva del Lago del Serpente in una posizione troppo morbida per essere stata vittima di una violenza. “Qua ci stanno di mezzo i sentimenti… chi l’ha messa così, le voleva bene” sostiene l’esperto commissario partenopeo Giovanni Sanzio, chiamato per far luce sull’intricata vicenda. E, pur avendo anche lui una situazione personale tutt’altro che semplice (moglie completamente rimbambita in una clinica, una figlia annoiata ed inquieta e pure una dermatite fastidiosa), s’impegna assai e svela altarini, scopre arcani, indaga negli animi umani delle persone. E dopo aver gettato fondati sospetti su molta gente (il matto, suo padre, l’allenatore di hockey provolone, la sorella gelosa, il padre morboso, il fidanzato spaccone, il presunto amante e la di lui ex moglie), arriva alla verità con perspicacia e saggezza.
Assolutamente niente male quest’opera prima firmata dall’ex aiuto regista di Nanni Moretti, Andrea Molaioli. Frutto di una lunga gestazione, La ragazza del lago è uno dei film medi italiani più appassionanti e convincenti degli ultimi anni, anche perché rispolvera un genere, sì frequentato dai nostri connazionali, ma raramente affrontato con intelligenza. È un polar all’italiana, anzi, alla friulana, scritto con abiltà e sapienza da Sandro Petraglia, che s’è ispirato a Lo sguardo di uno sconosciuto di Karim Fossum e ha trasferito l’azione dalla gelida Finlandia all’altrettanto freddo, profondo nord-est nostrano. È questa una delle trovate più felici dell’operazione: un ambiente composto da montagne opprimenti che circondano la zona, eppure avvolto in un’atmosfera ariosa, ma anche talvolta pesante nella sua monotonia. In questo contesto di ossimori si svolge l’intrecciata ed intrigante faccenda dell’omicidio della ragazza, senza una spiegazione plausibile a prima vista. E tra sospetti, inganni, dubbi, rancori e segreti, una costante di fondo emerge: l’animo umano è così oscuro che non sempre riusciamo a far luce su tutte le zone d’ombra.
Ogni personaggio ha uno scheletro nell’armadio, o almeno qualche evento buio. L’ha ormai capito, dopo anni e anni di omicidi, il nostro Sanzio, un magistrale Toni Servillo che sottrae e non aggiunge nella sua sottile e robusta personificazione del commissario, inconsapevolmente quasi filosofo, dallo sguardo pacato eppure inquieto. Servillo regala un’interpretazione finissima, da inserire in quella serie di ritratti di investigatori d’altri tempi: s’è detto come quelli nata dalla penna di Raymond Chandler, Philipp Marlowe su tutti, ma non disdegnerei di accostarli anche il Jules Maigret di Simenon. Accanto a lui un cast davvero notevole: spicca la moglie dolce ma a dir poco confusa di Anna Bonaiuto, lo scontroso padre-padrone di Omero Antonutti, lo sfuggente Fabrizio Gifuni, la livida Valeria Golino, il fido compare di Sanzio di Nello Mascia e il distrutto padre della vittima di Marco Baliani. Padri. La ragazza del lago è pure un film di padri (“un padre ci sta sempre” sentenzia Sanzio in una delle sue tante frasi ad effetto). Assai diversi tra di loro, ma con l’unitaria cifra dell’incertezza che affligge tutti. C’è chi è quasi rassegnato, chi esibisce durezza per nasconderlo e chi reagisce in modo… Giallo o poliziesco di intrattenimento, ma anche un ritratto nero sulle contraddizione e i lati bui dell’investigatore, è un film che è già un affascinante piccolo classico.
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