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I testimoni

Regia di André Téchiné vedi scheda film

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La recensione su I testimoni

di FilmTv Rivista
8 stelle

Tra l'estate del 1984 e quella del 1985, si svolge un'apocalisse. Che è di virus ma anche di sessi, identità, desideri, fobie, ossessioni. I medici le danno il nome con una sigla, AIDS; gli uomini e le donne ne fanno le spese col fisico e con la mente. E si muore. Ma a morire sono anche la spinta all'entusiasmo e l'incontenibilità della giovinezza (alla quale, sia chiaro, non interessa l'età anagrafica), la voglia del nuovo e la spensieratezza di un incontro. A morire è il giovane Manu, giunto a Parigi dalla montagna, pieno di vita, attorno al quale si muovono personaggi che lo pretendono e lo custodiscono, lo curano e lo amano; lui, intanto, se ne va così com'è arrivato. E niente è più come prima. Anzi, sì, è tutto come prima. Forse. Téchiné torna alle cose che ben conosce, dopo Niente baci sulla bocca e Les roseaux sauvages - L'età acerba. E ci si commuove, soprattutto nella prima parte, quando Manu corre sulla scogliera e si arrampica sull'albero, quando il primo piano (che il regista francese usa con un'insistenza dolorosa quasi insostenibile, in cinemascope) lo rende "bello" nella sua assoluta naïveté; mentre non ci si commuove in seguito, quando la malattia prende il sopravvento, non ci si dovrebbe commuovere («Preferisco che la gente si commuova quando vede Manu correre, arrampicarsi su un albero o ridere, al posto di piangere quando si ammala» ha affermato Téchiné). È la passione, quella che fa muovere un parco di battuage come fosse una piazza metropolitana durante lo shopping, a far affiorare le lacrime, non la sua improvvisa sottrazione. Perché è una promiscuità sanguigna e "immaginifica" che non c'è più e non può più esserci (anche se c'è ancora). Téchiné corre e non conosce soste, fa un film d'azione con le parole e un dramma sull'insensatezza di ogni schema (etero, omo, istituzionale, di costume): le ideologie tradizionalistiche sono un cancro per la vita così come l'AIDS; e non si salva nessuno, neanche i più liberali, ingenui ed egoisti assieme, tutti testimoni di un collasso (bellissimo e già teorico il titolo). Nella sua cronaca instancabile, Téchiné fa meglio di Cyril Collard, perché il suo sguardo è meno ombelicale e più aperto, al mondo, di ieri e di oggi e di domani, a tutti, gay-non-gay.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 28 del 2007

Autore: Pier Maria Bocchi

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