Regia di André Téchiné vedi scheda film
Insipido film sulla prima diffusione dell’AIDS, in cui il tono spregiudicato della nouvelle vague si disperde nella asetticità del registro televisivo. I dialoghi mostrano, per lo più, la dialettica forzata di un talk show: tanto accanimento narrativo e argomentativo e poca spontaneità emotiva. Questa, che pure è la storia di una malattia mortale, è innaturalmente povera di sentimento, e quasi cinica, nel modo in cui ognuno dei personaggi continua, prima, durante e dopo il tragico calvario del giovane Manu, a pensare esclusivamente a se stesso. Eppure non pare che sia l’egoismo il tema centrale del film, che parla di tutto e niente, di alberghi per prostitute e parchi per gay, del bel canto, delle favole per bambini e dell’ebbrezza del volo, dei problemi della maternità, della ricerca medica e dei pregiudizi razziali, in una serie di toccate e fughe che fanno perdere l’orientamento e la visione d’insieme. In quest’opera i grandi assenti sono il dolore, la paura, il senso d’impotenza, che fanno capolino solo a parole, ma non si colgono nei comportamenti e nelle atmosfere. Sconcerta un po’ l’enigmatica impassibilità di questi testimoni, la cui partecipazione al dramma non va oltre l’aspetto strettamente pratico, ossia la fattiva presa di coscienza che un nuovo virus sta girando per il mondo, che un ragazzo si è infettato e morirà, che ognuno è esposto al rischio del contagio. Tutto appare logico e immediatamente comprensibile, nessuno avverte il senso del mistero, della minaccia sconosciuta, del possibile epocale stravolgimento dei costumi, della crisi universale e forse definitiva cui va incontro la libertà sessuale. A oltre vent’anni dallo scoppio della grande pandemia, ci chiediamo a cosa valga realizzare un film in cui nessuno dei protagonisti sembra aver capito nulla, e che, però, nel complesso, tratta il problema col distacco di chi, ormai, dopo tanto che si è visto e sentito, lo considera un fatto ben noto ed acquisito.
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