Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Il personaggio realmente tragico o autenticamente comico è quello che, non avendo teatro né costume, è costretto a interpretare la propria parte lontano dalle scene, nel mondo vero, senza un pubblico che, mentre ride o piange, possa ammirarne la bravura. L’attore non commuove e il clown non diverte fuori dal proprio ambiente naturale, ed entrambi fanno solamente pena: sono, infatti, rispettivamente, il palcoscenico e la pista di sabbia a conferire al loro affanno l’elevata dignità dell’arte, sottraendolo allo squallido baratto dei sentimenti che, nella vita quotidiana, fa della recitazione un’attività subdolamente strumentale. La menzogna del commediante è patetica, così come lo è la sua finta allegria o la sua passione simulata, mentre la sua verità delude, perché è troppo banale per fare spettacolo. Così i protagonisti di questa storia, la domatrice Alma, il clown Frost, l’amazzone Anna e il capocomico Albert non esistono, come persone, in mezzo alla gente comune: ciò che ci si aspetta da loro è la rigorosa adesione ad un copione surreale, che li collochi nella dimensione fantastica delle illusioni docili ai desideri e all’immaginazione, come tante bambole che sanno dare forma agli altrui sogni, ma sono troppo malleabili per essere credute e rispettate. Con questo film, Ingmar Bergman conferisce al motivo conduttore della sua cinematografia - il doppiofondo della realtà – la veste molle e fragile della carne che, quando è dipinta e coperta di panni colorati, fa pensare più che mai al vano camuffamento di un deperibile inganno.
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