Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film
Un film ipnotico, come pochi altri. Devo dire che non amo molto questo tipo di cinema: basato sulla parola, girato con la camera a mano, molto fisico. Lo stile ricorda Assayas, ma senza le sue magistrali sincopi. Niente è lasciato al caso, nonostante le apparenze. Il cinema che analizza i rapporti fra vita e teatro è una costante per i transalpini: da Truffaut a Rivette, ma prima ancora con Carnè, i francesi hanno spesso indagato sui reciproci condizionamenti fra attore e personaggio. Ma un altro punto di riferimento potrebbe essere stata la complessa semplicità di "Sotto Gli Ulivi" di Abbas Kiarostami, finissima ed ambigua disquisizione sul senso del reale rispetto a quello della finzione...Ovviamente, rispetto alla calma cercata od imposta dal maestro iraniano, il contesto dei sobborghi parigini è ben più surriscaldato: la regia è abilissima ad enfatizzarne il vitalismo, tenendo la tensione ad un livello sempre alto, sempre sul punto in cui il livore rischia di sfociare nella collera. L'ultima mezzora è notevole e si presta a svariate interpretazioni, per il modo in cui vengono utilizzate le ellissi narrative: l'arrogante polizia stronca sul nascere un tentativo di chiarimento fra due amici di infanzia, segue una colluttazione ripresa nello stile virulento del Dogma 95, poi improvvisamente ci si trova alla recita finale, coi bambini che inscenano il loro spettacolo e un clima di riappacificazione...Trascurando gli effetti della retata poliziesca, forse Kechiche ha voluto sottolinearne l'inopportunità, la futilità, come quando una predica ti entra da un'orecchia e ti esce dall'altra...L'ultima immagine è ancora più ermetica, ma dimostra forse che il vero tema del film non è tanto il disagio degli immigrati o il tentativo di ascesa sociale, quanto piuttosto l'esclusione da un gruppo, fosse anche dal proprio ghetto...
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