Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film
Sopravvalutato, imbarazzante, oggi non è in grado di colpire più nessuno, al massimo può far sorridere per la sua fallace concezione di provocatorietà.
Precisiamolo a scanso di equivoci: la connotazione erotica di un film non è mai stata un problema, ed eventuali critiche che vertano sulla natura spinta di un’opera sono antistoriche e ipocritamente puritane. Capolavori come Eyes Wide Shut o Ultimo tango a Parigi o La grande abbuffata, malgrado puntino molte delle loro fiches sull’osceno, restano per l’appunto capolavori perché plasmano l’osceno in maniera funzionale al racconto, e fanno sì che l’osceno rimanga circoscritto e, diciamo, inoffensivo. Viceversa, se l’erotismo cessa di essere strumento e diventa oggetto e fine ultimo della narrazione, come nel caso di specie, si entra nel territorio della pornografia esplicita. Quest’amplesso interminabile tra i due protagonisti è uno sterile esercizio autocompiaciuto di onanismo cinematografico, che non ha nulla a che vedere col cinema d’autore. L’uso di un set quasi teatrale o del folklore giapponese – che rende un po’ tutta la vicenda astorica, fuori dal tempo – non è sufficiente ad elevare per più di un’ottava il tono generale della pellicola. Inoltre l’assuefazione all’atto sessuale esaurisce ben presto la sua carica provocatoria: se tu ad ogni fotogramma mi fai vedere sempre la stessa identica cosa, per quanto scandalosa, per quanto disturbante, ad un certo punto diventi prevedibile e scontato. La vera rivoluzione consiste nell’unicità di un gesto, non nella sua ripetizione costante. E poco importa che l’intenzione dell’autore fosse esattamente di mettere in risalto la perdita di contatto con la realtà dei due amanti, tutti presi dal loro delirio erotico, costretti in un imbuto dove eros viene a coincidere con thánatos; poco importa, perché la forma è sostanza, e la forma qui è monotona indipendentemente dal messaggio che intende suggerire. L’impero dei sensi, lo chiamavano. Ma qui i sensi non comandano alcunché, al più uno li perde e non certo per stupefazione o per disgusto, bensì per un irreversibile attacco di torpore. I sali, grazie.
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