Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film
Oshima si diverte a scavare nel cuore malato del suo Giappone, sconvolgendo, graffiando e straziando lo spettatore indifeso. Siamo nel 1936, ci sono un uomo, ricco borghesuccio annoiato, ed una donna, tranquilla dama di corte ninfomane, pure lei annoiata. Si trovano, si parlano, si studiano, si spogliano e finiscono a letto, dopo di che, comincia il sentimento, che sfocia in una totale ed opprimente mania reciproca: lei non può fare a meno di lui, lui non può fare a meno di lei, lei si prostituisce, lui violenta la cameriera, si giurano di essere eternamente in simbiosi, ma poi si trasforma tutto in pazzia. Questa è una storia di amore e morte che trova il suo spazio vitale in luoghi opprimenti, colorati, certamente, ma che impediscono alla luce di entrare; i pochi esterni vengono velati dall'oscurità, o da una luce fin troppo accesa, che alimenta la sensazione di trappola; il resto è girato in interno, e la sensazione di claustrofobia è attanagliante, resa ancor più forte dai modi aristocratici del popolo Giapponese. Insomma, si capisce subito che Oshima ha tutta l'intenzione di andare a toccare tasti dolenti, bastano le prime scene a mostrarlo: cameriere che fanno da prostitute, mendicanti ubriaconi gettati nel fango che implorano di poter sfogare i loro bisogni fisici, scene di nudo maschile, e quant'altro; è chiaro quindi che l'obbiettivo è sporcare quello che altri registi avevano reso nobile, mostrare un punto di vista nuovo e terribile di una cultura apparentemente rigorosa e lontana dalle bassezze della società occidentale, rendere orripilante un gesto d'amore. Oshima prende il cinema anti borghese europeo, e lo modella ad immagine e somiglianza del suo paese e del suo popolo, facendolo svolgere in uno dei momenti cruciali della sua ascesa nel mondo del capitalismo: si era poco prima della guerra e si respira aria di morte, in un mondo che ha perso i suoi antichi valori, la sua anima pura ed il suo decoro, e si sta avviando verso la standardizzazione. Come elemento principale, il regista sceglie un vecchio fatto di cronaca già portato una volta sullo schermo (con altro successo), girando una lenta ed agonizzante discesa nella completa mancanza di umanità, ed una trasformazione dell'uomo in animale (passando prima dallo stato borghese, ovviamente), e per far questo, non viene risparmiato nessun tipo di scabrosità, con una graduale decadenza morale dei due protagonisti: la loro relazione li porta a chiudersi nel loro appartamento, dove passano tutta la giornata, con poco cibo, poca igiene ed una follia che si sta inesorabilmente impossessando di loro, culminando nella terrificante scena dell'omicidio di lui, seguita dalla sua evirazione. L'amore diventa semplicemente un pretesto maniacale per far fuoriuscire la propria malattia, e per far sgorgare il sangue del proprio piacere degenerato, rinchiudendosi lontani da un mondo terribile. Questi sono più o meno i risultati sociali che l'opera ottiene (almeno per come l'ho recepita io), detto questo però, ci sono degli evidenti limiti che non possono essere ignorati: tanto per cominciare, i tempi del film sono eccessivamente dilatati, il ritmo pian piano viene sostituito da una noia penetrante, non aiutata affatto da una storia che più o meno si ripete per un'ora e mezzo senza grandi sussulti, e da una clamorosa assenza di tensione drammatica che avrebbe ampiamente rafforzato la vicenda. Ma poi, senza voler fare il moralista (non lo sono mai stato), c'era veramente il bisogno di scadere nel pornografico? La vicenda, secondo me, poteva benissimo reggersi senza, e ne avrebbe solo guadagnato (senza stare a fare citazioni fuori luogo, mi limito a dire che alcune scene sono tranquillamente bollabili come disgustose), così a freddo sembra che questo taglio così spinto sia stato fatto solo per fare “puzzo”, non che ci sia qualcosa di male, ma a lungo andare viene un po' a noia. Un film discreto, però, seguendo il mio modo di veder le cose, gli ho preferito lo spirito redentore di Furyo.
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