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Figlio unico

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Figlio unico

di figgieu
8 stelle

Figlio Unico è il primo film girato da Ozu con il sistema sonoro. E’ del 1936, quindi notevolmente in ritardo rispetto ai primi talkies giapponesi, che a loro volta avevano scontato l’inevitabile gap nei riguardi delle pellicole d’oltreoceano. Il film si apre con due prologhi ambientati a Shinshu, uno breve, ambientato nel 1923, e uno brevissimo, nel 1935, prima di approcciare gli eventi che si svolgono nel 1936 a Tokyo.
Il maestro del giovane Ryosuke, interpretato dal grande Chishu Ryu, convince la madre ad iscriverlo alle scuole superiori per non vanificare la sua vivace intelligenza e la sua grande applicazione. Terribili saranno i sacrifici e le privazioni che dovrà sopportare la povera vedova (i turni massacranti in fabbrica, la vendita dei terreni e infine della casa e il conseguente dormire in baracche di pertinenza dell’opificio dove lavora) per permettere al figlio di laurearsi a Tokyo. Ma finalmente mamma Otsune ha deciso che è il momento di risarcirsi dei tredici anni di stenti di prendere il treno per la capitale e di crogiolarsi della posizione sociale raggiunta dal figlio, ormai ventottenne. Ma l’incontro le riserva molte sorprese per la maggior parte negative. Ryosuke si è nel frattempo sposato, ha un figlio, ma non si è affatto realizzato. Lavora precariamente come insegnante serale in una modesta scuola, vive in una misera abitazione (frastornata da rumori notturni per pagare 3 yen di affitto in meno) nella più desolata periferia di Tokyo.
Nella capitale vive anche l’ex maestro, quello che l’aveva convinto a proseguire gli studi e che adesso è ridotto a vendere cotolette di maiale per mantenere la numerosa famiglia. Per permettere all’ospite un soggiorno decoroso, Ryosuke deve contrarre prestiti e sua moglie è costretta a vendere il kimono. Otsune si rende conto gradualmente dell’avvilente realtà e della vanità dei suoi sforzi, fino ad esplodere in un improvvisato dialogo notturno con il figlio, scagliandosi non tanto sugli insuccessi attuali ma sul suo atteggiamento ormai definitivo di rinuncia a lottare. Ryosuke si riscatta agli occhi della madre, almeno dal punto di vista umano, quando non esita a consegnare a una povera vedova sua vicina di casa tutti i suoi pochi denari per pagare le spese mediche del figlio, scalciato da un cavallo. Otsune torna quindi nella sua campagna e racconta ad un’amica di aver trascorso giorni indimenticabili e che il figlio si è realizzato completamente nella capitale. Dal canto suo Ryosuke promette a se stesso e a sua moglie di voler ricominciare a studiare e di impegnarsi per migliorare la sua posizione per il bene del loro figlio. L’ultima immagine del film, riservata alla solitudine della madre, riporta lo spettatore inesorabilmente alla realtà, sottoforma di consapevolezza che l’ottimistica dichiarazione di intenti sarà di difficile realizzazione nel contesto storico-sociale descritto.
D’altronde questo è uno dei film più ricco di spunti amari nella carriera del cineasta giapponese: l’inutilità dei sacrifici di una madre vedova e povera, il lungo e doloroso distacco con il figlio, la modernizzazione che ha modificato il sistema di vita tradizionale senza aumentare il tenore di vita, la disgregazione della campagna dove il lavoro nei campi è stato sostituito da quello in piccole fabbriche che sfruttano la manodopera femminile, il degrado della metropoli espressa da una squallida periferia fatta di erbacce, case fatiscenti, capannoni industriali, ciminiere e inceneritori. Durante tutto il film immagini di desolazione e mestizia sottolineano la mediocrità delle vite di tutti i protagonisti.
Interessante è notare come Figlio Unico rispecchi le mutazioni della politica internazionale del Giappone prebellico. Agli omaggi, quasi maniacali, alla cinematografia americana presenti in quasi tutti i film di Ozu a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 si sostituiscono ora quelli del nuovo alleato: la Germania. Nella casa di Ryosuke campeggia un manifesto turistico con la scritta “Germany” (in inglese, pero’) e il film che lo stesso Ryosuke va a vedere con la madre è anch’esso tedesco (precisamente “Leise flehen meine lieder” di Willy Forst, 1933). Curioso notare il contrasto tra le immagini vorticose e il montaggio alternato nello spezzone tedesco (piuttosto lungo) riproposto nell’inserto all’interno di un film, come Figlio Unico, praticamente privo di movimenti di macchina.
VOTO 9

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