Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Otto persone, di diverso sesso ed età, benestanti, sono in terapia di gruppo da una psicologa, la quale muore durante una seduta. Sette di loro decidono di continuare in autonomia le sedute raccontando le proprie storie, ma la cosa non funziona, anche perchè ognuno mostra un particolare egoismo nel voler troppo dire e troppo poco sentire. Del resto, ogni personaggio ha una diversa psicosi, della quale vorrebbe liberarsi; alcuni riescono, altri no, ma imparano a convinvere con essa. Nonostante un finale aperto alla speranza, il film è amaro. Racconta storie in cui emerge, anche in contesti di benessere economico, una quotidiana difficoltà di comunicare, di esprimere sentimento, di avere rapporti sereni con i propri simili, ed infine con sè stessi. Se ne ricava un quadro desolante della società moderna: i protagonisti, consapevoli del loro disagio, cercano un rimedio nella psicanalisi; molti tra coloro che li circondano, seppur rappresentati quali più "problematici" dei personaggi principali, non hanno coscienza di ciò. Ne derivano alte barriere di incomunicabilità, che i pregi della modernità (telefoni cellulari, e-mail, etc.) non riescono minimamente a scalfire. Le storie non sono raccontante con leggerezza; l'attitudine di alcuni personaggi a "far ridere" e qualche situazione comica, non alleggeriscono di molto la drammaticità dei fatti rappresentati. Una ragazza è preda di bulimia per sofferenze d'amore; un padre è umiliato davanti al figlio dal nonno di quest'ultimo; una donna non riesce ad arrendersi al trascorrere degli anni; etc. Costumi realistici e luoghi reali contribuiscono a farci sentire vicino a queste persone. Ho trovato leggermente carente la sceneggiatura. Sembra che la regìa, alla fine del film, abbia difficoltà a sciogliere in le storie dei sette, ormai legate tra loro. Comunque, un buon film.
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