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Club Zero

Regia di Jessica Hausner vedi scheda film

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George Smiley

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Club Zero

di George Smiley
8 stelle

Questa recensione non vuole essere semplicemente un'analisi del presente film, quanto un avvertimento sui pericoli di un'era sempre più conformista e massificata e delle sirene ideologiche che rischiano di minare alla base la nostra società.

locandina

Club Zero (2023): locandina

In una scuola privata d'élite frequentata principalmente da appartenenti alla fascia di popolazione più ricca del Paese, su invito del consiglio dei genitori viene assunta ad insegnare la giovane Miss Novak, esperta di "alimentazione consapevole" al cui corso partecipa un numero ristretto di studenti iscrittisi per le più svariate ragioni (dalle inquietudini ecologiste a quelle legate alla perdita di peso, fino alla necessità di ottenere dei crediti scolastici passando per la semplice curiosità). Ben presto diventa chiaro che il corso, basato su teorie pseudoscientifiche e una buona dose di retorica salutista, è in realtà il pretesto per manipolare e radicalizzare gli studenti convincendoli a ridurre drasticamente i propri consumi alimentari fino quasi al totale rifiuto del cibo. Tutto ciò è propedeutico ad introdurre almeno una parte di loro all'interno di una setta segreta, il Club Zero, la cui ideologia dominante prevede la possibilità di sopravvivere senza mangiare. I genitori degli studenti e le autorità scolastiche si rendono conto troppo tardi di quello che sta succedendo e del progressivo allontamento dei ragazzi e delle ragazze dalle loro famiglie, la cui influenza è stata sostituita dalla totalizzante presenza di Miss Novak. L'allontanamento della professoressa si rivela tardivo e inefficace, dal momento che il suo indottrinamento ha già fatto presa sulle giovani menti alla cui educazione è stata delegata, al punto che, persi per sempre i propri figli, sia le famiglie sia le istituzioni scolastiche saranno costrette a prendere atto della tragedia e finiranno per piegarsi anch'esse all'ideologia propugnata dal Club Zero.

locandina

Club Zero (2023): locandina

Non mi soprende affatto che un film intelligente e così ben focalizzato sulle tendenze verso cui si muove l'odierna società occidentale come quello di Jessica Hausner abbia riscosso un magro consenso di critica e di pubblico. Sicuramente non è un film perfetto o in cui abbondano guizzi registici degni di particolare menzione, ma a parte lo stile statico e geometrico e il rivestimento estetico che si limita a sottolineare il conformismo e il grigiore di un supposto istituto d'eccellenza, è il cuore concettuale e filosofico della storia rappresentata che mi ha colpito. L'opera in questione è infatti un'abile critica a tutti quei rivestimenti ideologici con cui buona parte della politica (occidentale) odierna, quella di matrice "liberal" (che di liberale nel senso classico del termine non ha nulla e si sostanzia più che altro nella moderna socialdemocrazia), ama trastullarsi: dall'ecologismo al femminismo della terza ondata, dall'animalismo al genderismo, passando attraverso la difesa dei diritti delle minoranze fino al più banale e generico anticapitalismo. In questo senso l'alimentazione consapevole propugnata da Miss Novak rappresenta le varie tendenze indeologiche che hanno presa soprattutto sui giovani e in particolare sui giovani studenti, dal momento che è proprio all'interno delle aule scolastiche e universitarie che spesso tali idee hanno origine o vengono diffuse per la prima volta. E il film cattura bene la componente universalistica, colletivista e manipolatoria di queste ideologie: dietro al perseguimento di un non ben concettualizzato "bene comune" e da un pulpito di arrogante superiorità morale e intellettuale, la ricerca di nuovi adepti assume ben presto i contorni di una coercizione della minoranza da parte della maggioranza, in cui l'opinione contraria viene sanzionata con più o meno velate minacce, colpevolmente tollerate da chi dovrebbe far rispettare i diritti individuali inalienabili (compreso quello d'opinione). I neofiti, oltre al controllo diretto del "maestro", passano poi a controllarsi a vicenda attraverso la delazione e il timore reciproco, di modo che le pecorelle smarrite tornino all'ovile per non lasciarlo più, pena l'allontamento definitivo e l'esclusione dal circolo sociale oltre che il rischio di ripercussioni sulla propria immagine e sul raggiugimento delle proprie ambizioni. Tutto ciò non ha potuto non riportarmi alla mente episodi come quello riguardante la professoressa di filosofia Kathleen Stock, costretta a dare le dimissioni dal suo ruolo all'Università del Sussex dopo continue pressioni da parte di studenti e accademici dovute alle sue opinioni (peraltro ben argomentate e sempre rispettose) sul concetto di "identità di genere", così come il recente episodio avvenuto negli Usa in cui un docente di Stanford ha costretto alcuni studenti ebrei presenti in aula a mettersi in un angolo come ritorsione per quelli che lui riteneva "i crimini di Israele". Molti studenti da parte loro, come mostrato nel lungometraggio, diventano acquiescenti a tali manipolazioni per paura di essere esclusi o rifutati dai loro simili, per il timore di vedere frustrato il perseguimento dei propri obiettivi, o per semplice ignoranza e istinto di gregge. Ad essere maggiormente colpevoli sono però i loro genitori, i quali sono spesso ben contenti di delegare l'educazione della propria progenie a qualcun altro senza curarsi degli effetti di questa "esternalizzazione" dei loro doveri genitoriali, il tutto magari per inseguire illusioni di status sociale piuttosto che prendere a cuore il benessere dei loro figli. La domanda che però ogni persona dotata di razionalità e pensiero critico, oltre ad una sana dose di individualismo, dovrebbe porsi è:"Da dove viene tutto questo?". Perchè una civiltà nata e sviluppatasi sul concetto filsofico e giuridico di libertà (e non una libertà qualsiasi, ma una libertà "liberale", ovvero imperniata sul diritto negativo e sul giusnaturalismo) si sta sempre di più aprendo a tendenze estremiste, intolleranti, irrazionali e totalitarie? Le risposte sono molteplici e in questa recensione, basandomi sulla visione di "Club Zero", cercherò di dare quelle più pertinenti alla materia cinematografica.

Jessica Hausner

Club Zero (2023): Jessica Hausner

La prima ragione è quella che io definirei "la pretesa del monopolio della conoscenza". Buona parte dell'èlite intellettuale ha sempre accarezzato l'idea che la società dovesse essere governata in via esclusiva da coloro ritenuti i più saggi e competenti della popolazione. La maggior parte di costoro osserva la società umana e in particolare l'economia di mercato e ciò che vede è anarchia, disordine, caos. Vedono lo stato presente del mondo e si chiedono perchè nessuno risolva i problemi che apparentemente solo loro percepiscono. La soluzione che propongono è di accentrare quante più decisioni possibili in mano a una ristretta cerchia di esperti e tecnici di vario tipo, i quali in virtù della loro conoscenza superiore potranno così efficacemente servire i bisogni dei cittadini meglio di quanto possano fare i cittadini stessi se lasciati liberi di agire autonomamente. Non fanno eccezione i componenti del "Club Zero": dal loro punto di vista, essi sono degli "eletti" (non in senso politico, benì morale, spirituale e ovviamente scientifico), le cui ragioni non possono essere comprese dalla massa ignorante, da coloro che non fanno parte della setta. Le persone comuni non sono ancora pronte ad accettare la verità sconvolgente del Club Zero, perciò per il loro stesso bene andranno tenute all'oscuro della sua esistenza fino a quando non saranno in grado di accettare la verità. Al di là delle aberranti implicazioni morali, l'errore fatale di quanti pensano che sia possibile organizzare la società umana (e il sistema economico) dall'alto verso il basso è di supporre che ci sia qualcosa di anche solo veritiero nella loro pretesa di avere il monopolio delle informazioni rilevanti: non è affatto così. Per sua natura, e anche in presenza delle più avanzate tecniche di raccolta delle informazioni e dei migliori modelli statistici ed econometrici, l'informazione non è "perfetta". Nessuno possiede tutti i dati significativi di cui avrebbe bisogno per programmare la società umana, dal momento che l'informazione è dispersa tra i vari individui, spesso essa è implicita, tacita, delocalizzata e il più delle volte impossibile da aggregare efficientemente in mancanza di un sistema di prezzi di mercato. Dove l'ingegnere sociale/economico vede solo confusione, vi sono invece una moltitudine di individui che si muovono autonomamente per perseguire i propri fini, ma così facendo entrano in contatto con altri individui che perseguono altri fini. Cooperando per facilitare vicendevolmente il raggiungimento dei rispettivi fini, essi si scambiano informazioni e le conseguenze inintenzionali delle loro azioni danno vita a nuove strutture sociali, il cui sviluppo è impossibile da prevedere a priori. La dicotomia non è tra la mancanza di un piano e il piano dei tecnici e degli intellettuali, ma tra un insieme di piani individuali che si intrecciano e si coordinano tra di loro e un unico piano, nel perseguimento del quale buona parte dell'informazione rilevante viene scartata o nemmeno presa in considerazione. Lo spiega bene Friedrich von Hayek ne "L'abuso della ragione" (1952):"La generale richiesta di un controllo o di una direzione “cosciente” dei processi sociali è uno degli atteggiamenti più caratteristici del nostro tempo: in questo, forse più chiaramente che in qualunque altro dei suoi cliché, si esprime il peculiare carattere dell’epoca. Il fatto che qualcosa non risulti guidato in modo “cosciente” come un tutto, è considerato già di per sé un difetto, una prova della sua irrazionalità e della necessità di sostituirlo integralmente con qualche congegno che sia frutto di intenzionale progettazione. Eppure pochi di coloro che usano con tanta facilità il termine “cosciente”, sembrano conoscerne il preciso significato: i più, invece, sembrano aver dimenticato che i termini “cosciente” e “deliberato” hanno senso soltanto se riferiti a individui, e che richiedere un controllo cosciente equivale a richiedere un controllo esercitato da una singola mente. La convinzione che i processi coscientemente guidati siano necessariamente superiori a qualsiasi processo spontaneo è, in realtà, una stravagante superstizione. Sarebbe invece più giusto dire, come ha affermato A.N. Whitehead, ma in altro contesto, che «la civiltà progredisce mediante l’estensione del numero di operazioni importanti che si possono compiere senza pensarci». Se è vero che, mediante l’interazione spontanea, le forze sociali talvolta risolvono problemi che la mente individuale non potrebbe mai risolvere coscientemente, e che forse neppur percepisce, e creano in questo modo una struttura ordinata che accresce il potere degli individui senza che alcuno di essi l’abbia deliberatamente progettata, allora si deve ammettere una certa superiorità dell’interazione spontanea sull’azione cosciente. In realtà, tutti i processi sociali che meritano di essere definiti “sociali”, appunto per distinguerli dalle azioni dei singoli, sono, per così dire, ex definitione non consci. Nella misura in cui tali processi riescono a dar vita a un ordinamento che non si sarebbe potuto realizzare per mezzo di direttive coscienti, qualsiasi tentativo di subordinarli a direttive siffatte equivale necessariamente a ridurre la capacità realizzatrice dell’attività sociale al modesto livello di capacità della mente singola.[...]Se è d’altra parte vero, come ammettono, pur con le loro differenti concezioni, sia individualisti che collettivisti, che i processi sociali possono pervenire a risultati superiori alle capacità di realizzazione e pianificazione della singola mente umana, e che proprio da questi processi sociali la mente singola riceve il potere di cui è dotata, ogni tentativo di imporre un controllo cosciente a questi processi deve fatalmente portare a tragici risultati. La presuntuosa aspirazione che la “ragione” diriga la sua propria crescita può avere, in pratica, soltanto l’effetto di porre limitazioni a quella crescita, di ridurne l’attività soltanto al perseguimento di quei risultati che la mente direttiva individuale riesce a prevedere. Questa aspirazione è conseguenza diretta di un certo tipo di razionalismo, di un razionalismo mal compreso e male applicato, che si mostra incapace di riconoscere in che misura la ragione individuale è un prodotto dei rapporti interindividuali. Infatti, la pretesa che ogni cosa, compresa la crescita della mente umana, debba essere coscientemente guidata, è anch’essa un segno di inadeguata comprensione del carattere generale delle forze che governano la vita della ragione e della società umana: rappresenta lo stadio estremo al quale pervengono quelle spinte autodistruttive della nostra moderna civiltà “scientifica” e quell’abuso della ragione il cui sviluppo e le cui conseguenze saranno il tema centrale delle analisi storiche dei prossimi capitoli.[...]L’approccio individualistico, conscio delle limitazioni intrinseche alla natura stessa della singola mente umana, si propone di mostrare come l’uomo che vive in società riesca, utilizzando le risultanti del processo sociale, ad accrescere i suoi poteri con l’ausilio delle conoscenze che sono in quelle implicite e delle quali non è mai interamente consapevole; ci fa comprendere che la sola “ragione” che può, sotto ogni aspetto, considerarsi superiore alla ragione dei singoli, non esiste come entità separata, al di fuori del processo interindividuale in cui, con l’ausilio di mezzi impersonali, le conoscenze di tante generazioni del passato e quelle di tanti milioni di uomini della generazione attuale si combinano e mutuamente si integrano, e che tale processo è la sola forma in cui il sapere umano si presenta come un tutto. Il metodo collettivistico, d’altro canto, non si accontenta della parziale conoscenza che di questo processo si può acquisire dal di dentro, e che di fatto rappresenta tutto quello che l’individuo può ottenere, ma fonda le sue pretese di controllo cosciente sulla presunzione di poter abbracciare questo processo come una totalità compiuta e utilizzare tutte le conoscenze in forma sistematicamente integrata. Esso conduce così direttamente al collettivismo politico; e anche se logicamente il collettivismo metodologico e quello politico sono due cose distinte, non è difficile mostrare come il primo conduca al secondo e come, di fatto, il collettivismo politico senza il collettivismo metodologico risulti completamente privo della sua base intellettuale: se manca la presunzione che la ragione individuale cosciente può comprendere tutti i fini e tutto il sapere della “società” o dell’“umanità”, resta senza fondamento la convinzione che questi fini si possano conseguire meglio per mezzo di una direzione centrale cosciente. Coerentemente perseguita, questa concezione deve necessariamente portare a un sistema nel quale tutti i membri della società diventano meri strumenti di un’unica mente direttiva e tutte le forze sociali spontanee, cui di fatto è dovuta la crescita della mente, si estinguono.".

Friedrich August von Hayek – Facts - NobelPrize.org

Oltre all'atteggiamento "ultrarazionalista" (da non confondere con un sano razionalismo orientato a osservare e descrivere la società umana senza introdurre prescrizioni normative nascoste sotto il mantello della scienza positiva), un ruolo deleterio negli orientamenti politici sia delle élite al potere e dei loro intellettuali stipendiati sia delle masse è una persistente ignoranza della scienza economica. Moltissimi sono coloro i quali si scagliano contro il mercato, il capitalismo, la finanza e le grandi imprese, pochissimi di costoro si sono presi la briga di approfondire in maniera spassionata e del tutto avalutativa le logiche di funzionamento del sistema che tanto disprezzano attribuendogli tutti i mali del mondo e le leggi dell'economia (che a discapito di quanti ancora oggi si ostinino a negarne l'esistenza o a relativizzarle a un determinato periodo storico, sono ben presenti e funzionanti tanto quanto la legge di gravitazione universale o la teoria della relatività ristretta), ancora meno hanno avuto la pazienza e la curiosità intellettuale necessarie per analizzare le cause dei problemi da essi attribuiti al libero mercato. L'opera di Jessica Hausner mi fornisce due esempi calzanti a proposito, due fallacie esposte a parole dai personaggi del film. La prima è relativa al presunto nesso causale fra capitalismo e consumismo, per essere più precisi la teoria secondo la quale il sistema capitalista non potrebbe sopravvivere se non stimolando bisogni inutili e superflui (in che cosa consista un bisogno inutile o superfluo è questione del tutto arbitraria: si potrebbe sostenere candidamente che tutto ciò che supera la pura sopravvivenza sia "superfluo", ma nessun essere umano che non sia ridotto a vivere come un animale sarebbe disposto ad accontentarsi dello stretto necessario per sopravvivere), pena l'incorrere in crisi di "sottoconsumo". Poco ci vuole a rendersi conto che il concetto stesso di "accumulazione di capitale" è inscindibile da quello di "risparmio" (e dall'investimento produttivo che ne consegue), un concetto che implica l'astensione dal consumo almeno per il periodo di tempo necessario ad impiegare i beni risparmiati per aumentare la produzione. E a nulla servono i vaneggiamenti di Keynes sullo spauracchio del "tesoreggiamento" della moneta, dal momento che il contante accumulato non sterilizza affatto i beni capitali prodotti e non ancora consumati, un errore dovuto alla totale mancanza nelle teorie neoclassiche e keynesiane della dimensione temporale della produzione e del consumo. A proposito del fenomeno sociale del consumismo, Saifedean Ammous ha da dire quanto segue:"Anche l’abbuffata di consumismo cominciata nel XX secolo può essere ben compresa solo dopo aver capito il processo di distruzione del denaro onesto e la parallela diffusione del pensiero keynesiano che, favorendo lo sviluppo di preferenze temporali elevate, svilisce il risparmio e deifica i consumi come chiave per la prosperità economica. A causa di questi due fattori, minori incentivi a risparmiare si affiancano a maggiori incentivi a spendere; tassi di interesse regolarmente manipolati al ribasso permettono enormi quantità di credito concesso non solo a fini di investimento ma soprattutto di mero consumo; la diffusione di carte di credito e prestiti al consumo permette di indebitarsi per le spese quotidiane, indebolendo la volontà di investire nel futuro. Un sintomo beffardo di quanto sia profonda l’ignoranza economica odierna alimentata dalle teorie keynesiane è la tesi secondo cui il capitalismo, cioè un sistema basato sull’accumulo di capitale derivante dal risparmio, avrebbe scatenato il consumismo dilagante che caratterizza la moderna società. Un risultato questo in realtà esattamente opposto all’accumulo di capitale che si verifica appunto nel sistema capitalistico quando le persone abbassano le proprie preferenze temporali, differiscono la gratificazione immediata e investono nel futuro. Il consumo di massa alimentato dal debito può essere quindi considerato una conseguenza naturale del capitalismo tanto quanto l’asfissia una naturale conseguenza della respirazione."(da “Il Bitcoin Standard”, 2019).

STORIA DELLA SCUOLA AUSTRIACA DI ECONOMIA | The Liberty Plus

L'altra fallacia economica è quella relativa ai rispettivi ruoli ricoperti nell'economia di mercato dagli imprenditori e dai capitalisti da una parte e dai consumatori dall'altra (la figura del consumatore, anzi, la funzione economica del consumatore è a torto la più negletta di tutta l'economia). L'idea più diffusa a proposito è che imprenditori e capitalisti siano a tutti gli effetti dei "dittatori della produzione", le cui decisioni di investimento siano indipendenti dalla domanda di mercato, e che in un libero mercato sia possibile registrare profitti faraonici senza curarsi dei reali interessi delle masse (anche in questo caso, in cosa consistano i "reali" interessi dei consumatori al di là delle loro preferenze soggettive e delle loro decisioni di spesa è ancora tutto da definire) e anzi manipolando i loro desideri attraverso il marketing e la pubblicità. In poche parole, questa argomentazione esposta da un personaggio scagliatosi contro l'industria alimentare e a favore dell'alimentazione consapevole, ha semplicemente invertito il nesso di causalità nella direzione degli affari economici. Per spiegare come, mi avvalgo di un estratto del libro "L'azione umana - Trattato di economia" (1949) di Ludwig von Mises:"La direzione degli affari economici in una società di mercato è compito degli imprenditori. Loro è il controllo della produzione. Essi sono al timone e guidano la barca. Un osservatore superficiale li crederebbe in posizione dominante. Ma non lo sono. Sono tenuti a obbedire incondizionatamente agli ordini del capitano, che è il consumatore. A determinare quel che deve essere prodotto non sono gli imprenditori, nè gli agricoltori, nè i capitalisti. Ciò è fatto dai consumatori. Se un uomo d'affari non obbedisce rigorosamente agli ordini del pubblico, così come sono a lui trasmessi dalla struttura dei prezzi di mercato, subisce delle perdite, va in fallimento e viene così rimosso dalla sua eminente posizione al timone della barca. Viene rimpiazzato da altri che soddisfano meglio la domanda dei consumatori. I consumatori sostengono attività in cui possono comprare ciò che vogliono al minor prezzo. Le loro decisioni di acquistare o di astenersi dal farlo determinano chi deve possedere e condurre gli stabilimenti industriali e le aziende agricole. Sono i consumatori a rendere ricco il povero e povero il ricco. Sono essi che stabiliscono in modo preciso ciò che deve essere prodotto e le relative qualità e quantità. Sono capi crudeli, pieni di capricci e fantasie, mutevoli e imprevedibili. Per essi nulla conta all'infuori della propria soddisfazione. Non si curano affatto dei meriti passati e degli interessi costituiti. Se viene offerto loro qualcosa che preferiscono o sia più a buon mercato, abbandonano i vecchi fornitori.[...]Soltanto i venditori di beni e servizi di ordine primario sono in diretto contatto con i consumatori e dipendono direttamente dai loro acquisti. Ma essi trasmettono le richieste ricevute a tutti coloro che producono beni e servizi di ordine superiore. E' per tale ragione che produttori di beni di consumo, dettaglianti, prestatori di servizi e professionisti sono costretti ad acquistare ciò di cui hanno bisogno per soddisfare le richieste dei consumatori da coloro che offrono alle migliori condizioni. Se non hanno cura di comprare nel mercato più conveniente e di adattare la lavorazione dei fattori di produzione in modo da rispondere economicamente alle domande dei consumatori, sono costretti ad abbandonare gli affari. Uomini più efficienti, che riescono meglio negli acquisti e nella lavorazione dei fattori di produzione, li soppiantano.[...]I consumatori determinano in definitiva non soltanto i prezzi dei beni di consumo, ma anche quelli dei fattori di produzione. Essi stabiliscono il reddito di ogni membro dell'economia di mercato. I consumatori, e non gli imprenditori, pagano in definitiva i salari percepiti da chi lavora, dalle affascinanti stelle del cinema alle domestiche. Con ogni centesimo speso, i consumatori determinano la direzione di tutti i processi di produzione e i dettagli più minuti dell'organizzazione delle attività economiche.[...]Nel funzionamento di un'economia di mercato, c'è un caso soltanto in cui la classe dei proprietari non è completamente soggetta alla supremazia dei consumatori. E' quando si affermano prezzi di monopolio.".

Ludwig von Mises: un liberale contro pianificazione e interventismo (video)  - L'Opinione

Ora che abbiamo smascherato le pretese di conoscenza dei promotori di ideologie salvifiche a parole ma liberticide e perfino dannose nei fatti, è giunto il momento di assestare il colpo definitivo alla scientificità delle loro teorie. Ebbene, la tanto decantata scienza a cui molti si appellano per meglio indorare la pillola da far ingoiare al popolo credulone ogniqualvolta vengono approvati provvedimenti autoritari che riducono la possibilità di scelta e si intromettono nella vita privata dei cittadini, è in realtà strutturata come una vera e propria religione alla quale opporre dubbi e rifiuti equivale a commettere un peccato di fede. E infatti, tolte le fragili giustificazioni biologico-alimentari, diventa subito chiaro che la credenza da parte dei membri del "Club Zero" nella possibilità di vivere senza doversi nutrire (al punto da paventare la possibilità della vita eterna e della salvezza da un futuro collasso sociale) è radicata nella fede e non in una qualche verità di tipo oggettivo che vada oltre il punto di vista individuale. A tal proposito una delle adepte arriva a dichiarare di fronte ai propri genitori il completo dominio sulle proprie funzioni vitali mediante la sola forza di volontà. Praticamente, il completo rigetto di una qualsiasi forma di realtà oggettiva esistente al di fuori della propria mente e l'adozione di un relativismo esasperato e nichilista. Sembra un'esagerazione, ma purtroppo l'attuale deriva postmodernista della filosofia contemporanea, con la sua ossessione per i costrutti sociali sganciati da ogni evidenza fattuale, il linguaggio che da chiave interpretativa della realtà si sostituisce ad essa, la sua riproposizione continua della logica marxista del conflitto tra sfruttatori e sfruttati, la sua auspicata palingenesi della società umana e il suo ben noto disprezzo per ogni filosofia politica che ponga l'individuo al centro della sua riflessione (liberalismo classico, libertarianismo, anarchismo individualista) piuttosto che la collettività intesa nel suo senso olistico, è una minaccia concreta alla civiltà per come la conosciamo oggi. A proposito del perchè sempre più persone subiscono il fascino di questa deriva relativistica, nel lontano 2001 (un anno prima della sua prematura scomparsa per via di un cancro allo stomaco) Robert Nozick ebbe da dire questo: "Le questioni concernenti il relativismo hanno generato molti dibattiti, spesso piuttosto accesi. Le persone vogliono fortemente che il problema se tutte le verità siano relative venga risolto in una certa maniera. È opportuno fermarsi a considerare perché ciò avviene. Perché questo problema suscita tante passioni e che cosa determina in quali modi le persone desiderano che la disputa si risolva? Nelle discussioni in aula e durante le lezioni, ho chiesto agli ascoltatori se loro pensavano che tutte le verità fossero relative. (Nella vostra interpretazione dei termini " relativo " e "verità" , tutte le verità sono relative? ) . Ho chiesto loro anche se volevano che tutte le verità fossero relative. Quasi tutti si sono trovati nella felice posizione di credere che le cose stiano come loro desiderano. Ora, può essere che noi adeguiamo i nostri desideri alla realtà della situazione, giungendo a volere quel che (crediamo) avvenga. Eppure, sembra più probabile - o no? - che in questo caso le nostre credenze (filosofiche) sul relativismo seguano le tracce dei nostri desideri. Questo ci consente una pausa. Che cosa determina quali desideri una persona ha riguardo al relativismo? Avanzerò alcune congetture sociopsicologiche sui fattori che danno forma ai desideri, ma non intendo sostenere che la verità sul relativismo sia relativa a fattori del genere. (Si noti che le conclusioni cui giungerò sono completamente indipendenti dalle mie congetture psicologiche da dilettante). Il relativismo sulla verità, insieme con concezioni affini come quella secondo cui non ci sono fatti oggettivi e tutti i fatti sono " costruzioni sociali", viene visto dai suoi sostenitori come un aumento della libertà. I fatti oggettivi sono un vincolo: limitano quello che si può fare. Quando abbiamo vari obiettivi, la maniera in cui cerchiamo di conseguirli è compiere azioni che mettano in atto percorsi adeguati alla realizzazione di tali fini. I fatti possono dunque vincolare il raggiungimento dei vostri fini. Può essere un fatto che le azioni possibili per voi non diano inizio ad alcun percorso esistente o possibile che conduca alla realizzazione dei vostri scopi. O può essere un fatto che qualsiasi percorso che possa portare ai vostri scopi implichi inevitabilmente effetti collaterali significativi (e inaccettabili) . Di conseguenza, se siete liberi da vincoli del genere, se i fatti che li costituiscono o che ne stanno alla base non sono oggettivi, la vostra libertà e il vostro potere possono risultare aumentati. D'altra parte, si può desiderare l'esistenza di fatti oggettivi, di fatti particolari, i quali vengono visti come realmente verificantisi, perché considerati una piattaforma su cui sostenersi nel perseguimento dei propri fini, come mezzo per ottenerli. Se è un fatto che questo percorso condurrà da un'azione possibile al vostro fine, allora ciò vi mette in grado di raggiungere l'obiettivo. Se è un fatto che una certa azione avrà particolari effetti collaterali e voi fareste meglio a evitarli, allora certe altre azioni possibili possono facilitarvi in questo. Allora, qual è il vero carattere dei fatti, vincolo o risorsa? Chiaramente, i fatti presentano entrambi gli aspetti. (La razionalità, pure, può essere vista come un vincolo o come una risorsa) . Se generalmente ottenete i vostri obiettivi essenziali, raggiungendoli abbastanza bene anche se non in maniera perfetta o ottimale, se ci sono percorsi che partono dalle vostre azioni in grado di permettervi di raggiungere il livello cui aspirate, allora vedrete i fatti, in generale, come risorse. Se non cl sono percorsi del genere, tuttavia, i fatti vi appariranno allora soprattutto come vincolanti. Che la gente si opponga alle dottrine relativiste o le accolga invece come benvenute dipende, presumo, da quale delle due situazioni appena descritte viene vissuta. Secondo questa spiegazione, il desiderio che la verità sia assoluta nascerebbe dalla soddisfazione nei confronti delle verità particolari cui si crede e il desiderio che la verità sia relativa deriverebbe dall'insoddisfazione nei confronti di certe verità particolari. La preferenza filosofica per l'assolutismo o il relativismo, dunque, sarebbe di natura derivata. Possiamo, di conseguenza, comprendere perché i giovani siano più propensi a favorire e accogliere il relativismo, rispetto agli anziani. Le persone più giovani spesso sono sottoposte alla vincolante forza esterna dell'autorità dei genitori e possono avere a disposizione meno mezzi o percorsi per ottenere i loro scopi. Le persone più anziane, d'altra parte, o hanno con maggior probabilità scoperto e acquisito mezzi per la realizzazione dei loro fini, oppure, qualora siano stati continuamente frustrati in tale perseguimento, hanno abbassato il livello delle loro aspirazioni e sostituito ai precedenti altri obiettivi più facilmente raggiungibili. In questo modo, è più probabile che essi giudichino meno i fatti del mondo come un vincolo che si oppone alla realizzazione dei loro scopi effettivi. (Per quanto riguarda gli inevitabili ostacoli in aumento che incontrano invecchiando, loro non ritengono che, se fossero relativi, ciò li renderebbe in qualche misura più eludibili)."(da "Invarianze. La struttura del mondo oggettivo"). La scena in cui Miss Novak e i suoi studenti si trovano all'interno del quadro di una delle lussuose ville in cui abitano i genitori dei ragazzi è dunque da intendersi come una fuga dalla realtà verso un mondo artefatto e fittizio, l'unico in cui le loro convinzioni possono essere coerentemente perseguite.

Robert Nozick | Libertarian Philosopher, Harvard Professor & Author |  Britannica

L'ultimo tema che voglio affrontare in questa recensione è quello che più mi ha colpito durante la visione del lungometraggio e che mi ha fatto apprezzare l'arguzia e la sottigliezza della regista/sceneggiatrice, ovvero il ruolo di quella che potremmo definire l'élite economico-finanziaria all'interno della narrazione. E' bene sottolineare che tutti gli eventi verificatisi dall'entrata in scena di Miss Novak in avanti sono stati resi possibili dalla volontà esplicita dei genitori (principalmente benestanti) dei ragazzi. Sono loro infatti che hanno caldeggiato la sua assunzione presso l'istituto scolastico e che all'inizio si sono mostrati perfino entusiasti del corso di studi da lei erogato, intrigati dalla nuova moda dell'alimentazione consapevole e ipocritamente convinti della necessità di limitare lo spreco di cibo. Nel momento in cui la situazione sfugge loro di mano, cercano invano di tagliare i ponti con la nuova insegnante, spingendo per il suo allontanamento, ma ormai è troppo tardi: la bilancia del potere pende ora verso Miss Novak e le nuove reclute del Club Zero, mentre a loro, ormai sfiduciati e sconfitti, non resta che accettare la nuova ideologia e adeguarvisi. Questa è una potente riflessione sul ruolo delle ideologie nel garantire il potere di una determinata élite sul resto della società così come di preparare la sua sostituzione ad opera di una nuova élite, dovesse la precedente perdere il controllo dei suoi sottoposti e del loro consenso passivo. Pensate a tutte le campagne umanitarie usate dai moderni magnati dell'industria e della finanza come captatio benevolentiae nei confronti del pubblico e allo scopo di ottenere vantaggi politici presso le istituzioni statali, ma anche alle idee socialiste e welfariste spesso promosse proprio da queste figure apparentemente in contraddizione con esse (ma la verità è che i principali nemici del libero mercato e della concorrenza sono proprio i più ricchi, perchè sono quelli che più hanno da perdere nella competizione per il favore dei consumatori!), idee usate a fini lobbistici che però finiscono spesso per ritorcersi contro di loro e portare alla loro rovina, ovviamente a vantaggio di nuove élite che andranno a sostituirle. Tutto questo mi ha ricordato gli studiosi italiani di inizio Novecento che elaborarono la teoria politica dell'elitismo, in particolare Vilfredo Pareto. Nel suo "Manuale di economia politica" del 1906, Pareto delineava per la prima volta la sua teoria della "circolazione delle élites": "La società umana non è omogenea, essa è costituita da elementi che differiscono più o meno, non solo per caratteri evidentissimi, come il sesso, l’età, la forza fisica, la salute, ecc,; ma anche per caratteri meno facilmente osservabili, ma non meno importanti, come sarebbero le qualità intellettuali, morali, l’attività, il coraggio, ecc...L’asserzione che gli uomini sono oggettivamente eguali è talmente assurda, che non merita neppure di essere confutata. Invece, il concetto soggettivo dell’eguaglianza degli uomini è un fatto di gran momento, e che opera potentemente per determinare i mutamenti che subisce la società. Allo stesso modo che in una società si distinguono ricchi e poveri, sebbene le entrate crescono insensibilmente dalla più bassa alla più alta, si può distinguere in una società la parte eletta o aristocratica, nel senso etimologico (?ριστος - migliore), e una parte volgare; ma occorre sempre tenere presente che si passa dall’una all’altra per gradi insensibili. Il concetto di quella parte eletta è subordinato alle qualità che in essa si ricercano. Vi può essere un’aristocrazia di santi, come un’aristocrazia di briganti; un’aristocrazia di scienziati, un’aristocrazia di furbi, ecc. Ove poi si considerino quel complesso di qualità che favoriscono il prosperare e il dominare in una società, si ha ciò che diremo semplicemente aristocrazia o parte eletta. Tale parte esiste veramente in ogni società, e la governa, anche quando apparentemente il reggimento è quello della più larga democrazia. Per una legge di gran momento e che veramente è cagione principale di molti fatti sociali e storici, quelle aristocrazie non durano, ma si rinnovano continuamente; ed ha luogo, per tal modo, un fenomeno a cui si può dare il nome di circolazione delle aristocrazie. Su tutto ciò dovremo tornare discorrendo della popolazione; qui ci basta di avere rammentato compendiosamente quei fatti, di cui ci dobbiamo valere nelle considerazioni seguenti. Supponiamo che esista una società composta di una collettività A dominante e di una collettività B soggetta, le quali sieno decisamente avversarie. Potranno entrambe manifestarsi precisamente come sono. Più spesso accadrà che la parte dominante A si vorrà manifestare come operante pel comun bene, poichè così spera di attenuare l’opposizione di B; mentre la parte soggetta B rivendicherà schiettamente i vantaggi che vuol conseguire. Fatti simili si osservano quando le due parti sono di nazionalità diverse; per esempio per gli inglesi e gli irlandesi, per i russi ed i polacchi. Ma il fenomeno diventa molto più complesso in una società di nazionalità omogenea, o, ciò che torna allo stesso, creduta tale dai suoi componenti. Da prima, in quella società, tra le due parti avversarie A e B, s’interpone una parte C, che partecipa dell’una e dell’altra e che può volgersi ora da questo, ora da quel lato. Poscia, la parte A si divide in due; una delle quali, che diremo A α, ha ancora quanto basta di forza e di energia per volere difendere il proprio dominio; l’altra, che diremo A β, si compone di individui decaduti, fiacchi di mente e di volere, umanitari, come diconsi ai giorni nostri. Similmente la parte B si divide in due: una delle quali, che diremo B α, costituisce la nuova aristocrazia che sorge, e che accoglie pure molti elementi di A, che, per cupidigia o ambizione, tradiscono la propria classe e si fanno a capitanare gli avversari; l’altra, che diremo B β, si compone del solito volgo, che costituisce la maggior parte delle società umane. Oggettivamente la contesa sta unicamente in ciò che i B α vogliono sostituirsi agli A α; tutto il resto è subordinato ed accessorio. In tale guerra, i capitani, cioè gli A α e i B α, hanno bisogno di soldati, e ciascuno mira a procurarsene come meglio può. Gli A α seguitano a voler dare ad intendere che operano pel comun bene; ma nel caso presente quest’arma diventa a doppio taglio. Infatti se, da un lato, giova ancora ad ammorzare la resistenza dei B β, dall’altra infiacchisce pure l’energia degli A β, i quali scambiano per verità ciò che non è che finzione, e che solo come finzione può essere utile. A lungo andare può seguire che i B β credano ognora meno a quelle parole degli A α, e invece gli A β ognora più le tolgano come norma di condotta reale; ed in tal caso l’arte usata dagli A α si volge contro di loro, e finisce col fare loro più male che bene. Ciò ora si verifica, in qualche paese, nelle relazioni tra la borghesia e la parte popolare. In quanto ai B α, essi sogliono apparire come i difensori dei B β, e, meglio ancora, come i difensori di provvedimenti i quali sono per giovare a tutti i cittadini. Per tal modo la contesa, che è oggettivamente del dominio tra gli A α e i B α, toglie soggettivamente la forma di una contesa per la libertà, la giustizia, il diritto, l’eguaglianza, o per altre simili cose; e sotto quella veste è di solito registrata dalla storia. I vantaggi di tale modo di operare sono specialmente che i B α tirano dalla loro non solo i B β, ma parte dei C, e anche la maggior parte degli A β. Ponete che la nuova aristocrazia che sorge manifestasse schiettamente e semplicemente il suo intendimento, che è quello di soppiantare l’antica; nessuno le verrebbe in aiuto, e sarebbe vinta prima di avere combattuto. Invece, non fa palese di volere cosa alcuna per sè, ben sapendo che, senza chiederla preventivamente, la conseguirà insieme colla vittoria; asserisce che muove guerra solo per ottenere l’eguaglianza tra i B e gli A, in generale. In grazia di tale finzione, acquista il favore, o almeno la benevola neutralità della parte intermedia C, che non avrebbe voluto favorire fini particolari in pro della nuova aristocrazia; poscia, non solo ha dalla sua la maggior parte del popolo, ma altresì ottiene il favore della parte decaduta dell’antica aristocrazia, che volentieri si culla al suono di sì dolce canzone. Conviene notare che quella parte, sebbene decaduta, è sempre superiore al volgo: gli A β sono superiori ai B β; ed inoltre hanno i denari occorrenti per lo spese della guerra. Sta di fatto che quasi tutte le rivoluzioni sono state opera non già del volgo, bensì dell’aristocrazia e specialmente della parte dell’aristocrazia decaduta; ciò si vede nella storia principiando dai tempi di Pericle, e giù giù sino ai tempi della prima rivoluzione francese; ed oggi stesso vediamo che parte della borghesia aiuta validamente il socialismo, di cui del rimanente sono borghesi quasi tutti i capi. Le aristocrazie finiscono di solito col suicidio. Quanto ora dicemmo è solo il compendio di moltissimi fatti, e non ha altro valore se non quello stesso dei detti fatti. Ma per esporli ci manca qui lo spazio, onde siamo costretti di rimandare il lettore ai Systèmes, ove in parte sono notati. Si vede ora quanto sia grande soggettivamente il valore del concetto dell’uguaglianza degli uomini, che oggettivamente è nullo. Esso è il mezzo comunemente usato, specialmente ai tempi nostri, per torre di mezzo un’aristocrazia e sostituirla con un’altra. Occorre notare che la parte decaduta dell’aristocrazia, cioè gli A β, è quella che propriamente è ingannata e riesce dove non voleva andare. Il volgo, cioè i B β, finisce spesso col guadagnare qualche cosa, sia mentre dura la battaglia, sia quando accade ad esso di mutare padroni; la parte eletta dell’antica aristocrazia, cioè gli A α, non è ingannata, soggiace alla forza; la nuova aristocrazia che sorge consegue vittoria. L’opera degli umanitari del secolo XVIII, in Francia, preparò le stragi del Terrore; l’opera dei liberali della prima metà del secolo XIX preparò l’oppressione demagogica di cui già si vede l’albore. [...] Le teorie economiche e sociali usate dai contendenti nelle battaglie sociali debbono essere giudicate non già pel loro valore oggettivo, ma bensì principalmente per la qualità che possono avere di suscitare emozioni. Perciò giova poco o nulla ogni confutazione scientifica che di esse si possa fare, sia pure quanto si vuole oggettivamente esatta. C’è di più. Gli uomini, quando a loro giovi, possono prestare fede a una teoria di cui conoscono poco più che il nome; il che del rimanente è fenomeno generale in tutte le religioni. La maggior parte dei socialisti marxisti non hanno lette le opere del Marx. In casi particolari se ne può avere certa prova. Per esempio, prima che quelle opere fossero tradotte in francese e in italiano, è certissimo che i socialisti francesi ed italiani che non sanno il tedesco non le potevano avere lette. Le ultime parti del Capitale del Marx furono tradotte in francese proprio quando il marxismo principiava a declinare in Francia. Tutte le discussioni scientifiche pro e contro il libero cambio hanno operato poco o niente circa al mettere in pratica il libero cambio o la protezione. Gli uomini sono mossi dal sentimento e dal tornaconto, ma piace a loro fingersi mossi dalla ragione: perciò cercano, e trovano sempre, una teoria che, a posteriori, dia una qualche vernice logica a quelle loro azioni. Ove tale teoria si potesse scientificamente annientare, si otterrebbe solo che un’altra si sostituisse ad essa, per lo scopo richiesto; una vernice nuova sarebbe usata invece dell’antica, ma le azioni non muterebbero. È dunque principalmente sul sentimento e sul tornaconto che si può operare per muovere gli uomini e spingerli per la desiderata via. Poco ancora si sa della teoria di simili fenomeni, nè ci possiamo più oltre dilungare su tale materia.". Dietro ad ogni ideologia dal richiamo universale e salvifico si nasconde nient'altro che la lotta per il potere, una lotta in cui un'élite emergente sostituisce quella vecchia, ormai indebolitasi e incapace di opporsi all'ascesa degli avversari anche a causa delle stesse idee da essa utilizzate in precedenza per installarsi al potere.

Vilfredo Pareto - Wikipedia

Ho voluto con questa recensione, che a questo punto ha preso la forma e le dimensioni di un piccolo saggio, rendere onore alle tematiche niente affatto banali e fuori moda proposte dal film in questione e offrirvi quanti più spunti di riflessione possibili in ambito economico, sociologico, politico e filosofico. Nella speranza di non avervi annoiato e di aver stimolato la vostra curiosità relativamente a "Club Zero" e agli autori citati, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima recensione. A presto,

 

Davide

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