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Grand Tour

Regia di Miguel Gomes vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Grand Tour

di yume
10 stelle

Metà del mondo in un film, coordinate spaziali e temporali continuamente perse e ritrovate, l’inconscio cinematografico ci conduce soprattutto in un viaggio dentro l’uomo.

locandina

Grand Tour (2024): locandina

Un gran viaggio, un ibrido fra realtà e finzione, tra presente e passato il Grand Tour di Miguel Gomes, regista portoghese che ama esplorare i continenti perché, dice, Penso che il mondo sia bello. È pieno di grazia. Non devo essere vietnamita per girare in Vietnam. Devo solo cercare di catturare quella grazia e condividerla con il mondo.

Sesto lungometraggio del regista e primo ad essere presentato in concorso a Cannes dove ha vinto il premio alla regia, Gomes trasforma in film un passaggio di due pagine da The Gentleman in the Parlour di W. Somerset Maugham, una raccolta del 1930 di scritti di viaggio dell'autore inglese. Partendo da lì, con fantasia inesauribile unita a maestria e amore per un cinema purissimo, già dimostrati nei capolavori precedenti, porta lo spettatore in un viaggio memorabile attraverso Birmania, Cina, Filippine, Giappone e Vietnam in uno spaesamento geografico e temporale guidato dal criterio della gioia, o del divertimento.

Parlando degli anacronismi del film che rispondono alla necessità di registrare i cambiamenti nel tempo, pensa alla reazione degli spettatori e aggiunge: Se ci sono riuscito è perché volevo dimostrare che in tutta la storia del cinema abbiamo speso troppi soldi cercando di far credere allo spettatore cose a cui è già capace di credere purché accetti il patto della finzione. Lo spettatore sa che quello che sta vedendo non è il 1918. I personaggi sono in uno studio e hanno i telefoni e le macchine di oggi. Ma lo accetteranno. Per me, il principio base della finzione è accettare l’idea di essere in un altro mondo con un diverso insieme di regole. E tu vuoi crederci, perché vuoi viaggiare.

Gonçalo Waddington

Grand Tour (2024): Gonçalo Waddington

 Sintetizzare lo scorrere caleidoscopico del film è un esercizio arduo, molto sfugge ad una sinossi scheletrica che possiamo a spanne tratteggiare così: prima metà del film, 1918. Edward (Gonçalo Waddington), giovane funzionario britannico di stanza a Rangoon, viene a sapere che Molly (Crista Alfaiate), fidanzata che non vede da sette anni, sta per raggiungerlo da Londra. Lui fugge e un personaggio commenta: Nessun uomo in vista di un matrimonio sfugge a tale desiderio (appunto, di fuggire). Edward lo fa e inizia il Grand Tour asiatico. Parte in barca per Singapore e, proseguendo con i mezzi dell’epoca, scampa a un disastro ferroviario a Bangkok, quindi va a Saigon, Manila, Osaka e Shanghai, sempre raggiunto ovunque da telegrammi di Molly del genere: Sono in arrivo - stop - M. e così laconicamente scrivendo.

Lei non lo molla e lui, sempre più depresso e malinconico, non si fa raggiungere, arrivando perfino a salire su una montagna piena di macachi che un santone gli ha consigliato di contattare. Lo lasciamo febbricitante e molto malridotto, e non sapremo dal film che fine farà, ma non bella di sicuro.

Crista Alfaiate

Grand Tour (2024): Crista Alfaiate

Scatta a metà film la seconda parte, dominata da Molly, anche lei iperattiva nel passare di paese in paese senza mai arrendersi finchè la malattia, che lo spettatore si aspetta da un po’perché inevitabile in quelle condizioni di vita spericolata, l’avrà vinta e non raggiungerà mai Edward.

Molly è uno strano tipo. Tanto decadente, déraciné, chiuso nel sogno e nella fantasia è Edward, tanto segnata da sfrenato vitalismo e impetuosa adesione alla vita è lei, donna inarrestabile e certo per lui insopportabile, soprattutto per la sua risata, indescrivibile e fastidiosa, che ci aiuta a capire il rifiuto dell’uomo.

Nessuno spoiler, dai film di Gomes ci si aspetta di tutto e, anzi, lui vuole che lo spettatore anticipi gli sviluppi, li pensi secondo il suo stile, carattere, pensiero (ricordiamo Tabu, 2012, girato metà a Lisbona e metà in Africa, nella savana sotto il monte che dà il titolo al film. I personaggi o non parlano o muovono le labbra ma non sentiamo la voce. La voice over dice tutto quel che c’è da sapere seguendo le tracce della nostra immaginazione).

Come nel leggere un libro siamo assolutamente liberi di immaginare scene, forme, precorrere sviluppi, così Gomes attua lo stesso meccanismo di immersione totale dello spettatore nel film, mentre guardiamo siamo guardati, l’esperienza è totalizzante.

Come si arriva alla fine del viaggio non va rivelato, ma fra gli espedienti inventati da Gomes è il più spiazzante.

Dunque una strana storia, forse irreale o forse no, quello che conta è la messa in scena, quel rutilante spostarsi di uomini e donne da un posto all’altro guidati da una logica inafferrabile, apparentemente non sense ma, a rifletterci, più vera del vero. Tante lingue, popoli diversi, marionette che danzano nei bellissimi costumi colorati e una ruota panoramica girata a mano creano stacchi con l’esclusivo bianco e nero di tutto il resto, e ogni paese attraversato sembra dire a noi occidentali: Voi non potrete mai capirci.

Fedele al suo credo secondo cui il film deve spiazzare, divertire, riuscire a dire l’indicibile, mentre ci porta in Estremo Oriente Gomes riempie la sala con il pieno orchestrale del Bel Danubio blu. Siamo a Saigon, scooter e motorini danzano in piazza al ritmo di valzer, durante una cena a bordo di una nave che solca quei mari lontani un bravo tenore, venuto in Asia con buone prospettive di carriera, intona un famoso brano d’opera del teatro lirico italiano. Musiche e canti dei luoghi attraversati risuonano spesso, misti al frastuono di mercati stracolmi di merci, al silenzio di antichi monasteri, allo stormire di foreste tropicali impenetrabili.

Quando arrivano i titoli di coda lo spettatore esce dall’incantesimo ma ha visto tutto e pensato a tutto.

Il Gran Tour asiatico negli anni Venti era la specialità dei colonialisti britannici, la fusione di documentario e finzione, gli esterni girati da Gomes nei suoi viaggi recenti e la fiction realizzata in studio durante il Covid creano suggestioni oniriche, da città caotiche si passa a profonde foreste, dalla kasbah a interni lussuosi e raffinati di Hotel per super ricchi, e mentre racconta una storia d’amore/disamore Gomes ci mette di fronte al mondo e al suo infinito fluttuare.

Il 16 mm in bianco e nero crea lo stesso effetto straniante di Tabu, e, come lì, mentre seguiamo la storia che non manca, a suo modo, di continuità narrativa, veniamo catturati da un’esperienza unica, intrigante come le Mille e una notte.

Metà del mondo in un film, coordinate spaziali e temporali continuamente perse e ritrovate, l’inconscio cinematografico ci conduce soprattutto in un viaggio dentro l’uomo.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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