Regia di David Lynch vedi scheda film
Ennesimo incubo lynchiano coi soliti cliché tipici del suo cinema: l’importanza delle luci, i personaggi terrificanti, il tema del doppio, lo svolgimento ambiguo. Lynch prosegue idealmente il SUO cinema preferito (non quello impostogli, ma nonostante tutto ottimo, come per UNA STORIA VERA o THE ELEPHANT MAN), sottolineando nuovamente il SUO modo d’interpretazione della settima arte: un approccio simile a quello che si ha con la musica, ossia non necessariamente un’operazione d’esegesi (operazione quasi impossibile per Mulholland drive) ma un abbandono totale senza la necessità imperante di interpretare, di capire, di collegare.
Il cinema di Lynch è un cinema unico, senza epigoni, non per volontà ma per l’impossibilità di clonare uno stile autoriale inimitabile. Tutto il film è un meraviglioso affresco di ambiguità e indeterminatezza, una poesia metafisica, una raffigurazione di un onirismo puro.
Sulla trama c’è da dire poco o nulla: anche qui, non per volontà quanto per necessità. Ci sono 2 ragazze, con destini alterni, che si incontrano; un regista che deve cedere alle pressioni di alcuni malavitosi e passa una giornata d’inferno; due uomini in un caffé che discutono di incubi... Poi gli stessi attori cambiano tutti il proprio ruolo, talvolta addirittura la propria identità...
Ogni interpretazione dei collegamenti tra le tre vicende è possibile, ma di certo non è univoca né tantomeno convincente al 100%. Mulholland drive è in definitiva il grande mostro postmoderno: quello che in passato è stato 2001: Odissea nello spazio. Per enigmaticità ed ambiguità.
Complessivamente il film è ben girato, ben recitato e assolutamente terrificante in alcuni passaggi. Da vedere, a meno che non si cerchi a tutti i costi una storia classica o lineare. Per utenti del genere si prega di non bussare alla porta di casa Lynch.
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