Regia di David Lynch vedi scheda film
In una buia strada sulle colline di Hollywood, due uomini sono a bordo di un’auto, sul cui sedile posteriore è seduta una donna bruna. Vittime di un incidente, la donna è l’unica a sopravvivere ma, nello scontro, perdere la memoria: non sa più chi è e cosa ci facesse a Mulholland Drive. Il fortuito incontro con l’attricetta Betty, appena approdata nella mecca del cinema, l’aiuterà a riprendere possesso della sua identità e dei segreti che si celano in quello che all’apparenza sembrava fosse solo un banale incidente.
Analizzare un film di David Lynch è cosa angusta, cadere nel banale così come rischiare di dire assurdità, sono due delle probabili conseguenze in cui si rischia di incappare. Personalmente ho avuto un doppio approccio a Mulholland Drive: la prima volta l’ho guardato prendendolo dal verso sbagliato, cercando di capire, di dare un senso a personaggi e frasi, gesti e infatti ho abbandonato la visione dopo poco più di mezz’ora; la seconda volta ho deciso di ricominciare con il solo intento di “lasciarmi intrattenere”, osservare come osservo un quadro in una pinacoteca e “limitarmi” a percepire le sensazioni che mi trasmetteva, ebbene, questa seconda volta è stata un successo (almeno in parte) inaspettato.
David Lynch imbastisce una pellicola complessa ma bella e coinvolgente. Parte da tre personaggi per poi incastrare di conseguenza tutti gli altri, intrecciandoli in una rete di avvenimenti e situazioni. Un racconto in rewind che trascina fin da subito, costellato di immagini inizialmente senza senso e di cui solo alcune, alla fine, avranno una spiegazione, a volte neanche troppo plausibile, ma va bene così.
Sarà che con il tempo, guardando le svariate opere di Lynch, ho capito che, per amare il suo cinema, per tentare almeno di percepirne la potenza che possiede, bisogna lasciarsi trascinare dalle immagini e dal racconto, senza porsi troppe domande ma limitandosi a dare un’interpretazione a ciò che si vede, che in fondo è solamente una delle miriadi possibili nella sempre complicata visione delle pellicole di quel genio di nome David Lynch.
Mulholland Drive è un viaggio nella mente umana, nei suoi trip, in quei loop temporali di cui a volte la memoria è vittima, un percorso doloroso il cui risveglio fa accapponare la pelle, quando la realtà, che prima era celata dall’immaginazione, è così orribile da doverla annientare. Mulholland Drive è quel confine che mai bisognerebbe valicare, dal quale bisogna tenersi ben lontani. È la perdizione, la verità nuda e cruda. L’eredità di un sogno d’amore univoco il cui infrangersi stravolge la mente di Betty Elms, l’ingenuità fatta persona interpretata da una straordinaria Naomi Watts, soggiogata da una passione proibita per Laura Harring, in un ruolo controverso che le calza a pennello.
Con Mulholland Drive David Lynch mette ognuno al posto giusto nel momento giusto, anche chi non ha senso di esistere. Dice cose e narra fatti di cui in parte dimenticherai, eppure, alla fine, ti lascia addosso una di quelle sensazioni straordinarie di cui non ti libererai mai.
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