Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Nonostante lo spunto iniziale da un racconto di Tolstoj - poichè Bresson, nel farsi influenzare da opere altrui, oltre allo spunto quasi mai è andato, portando avanti un cinema sempre molto personale e originale - e quindi nonostante per una volta il regista francese paia cambiare scrittore russo di riferimento, ecco che il fantasma di Dostoevskij compare prepotente come un'ombra, gigantesca, alle spalle di Yvon, protagonista di L'argent e novello Raskolnikov. Tormentato dai sensi di colpa, Yvon si consegna spontaneamente alla polizia: il suo delitto è stato castigato. Proprio perchè nel corso dell'esistenza terrena non esiste scampo (e questo è un discorso che attraversa l'intera filmografia bressoniana, qui giunta al capitolo conclusivo): il caso, il caos o più semplicemente l'assenza di una legge divina a governare il mondo fanno sì che ogni errore, perchè l'uomo è per sua natura, per nascita peccatore, debba andare per forza pagato; e allora tanto vale - pur sbagliando nella coscienza di sbagliare - arrendersi. Questo è L'argent, il testamento artistico, in un certo senso, di Bresson; un'opera che indica nel denaro (da cui il titolo) la fonte principale delle disgrazie dell'essere umano. La vita di Yvon, apparentemente in ordine e priva di grossi turbamenti, è spazzata via da due incidenti alla base dei quali c'è il denaro: lo spaccio di banconote false che conduce l'uomo in galera e la perdita del lavoro (=sostentamento economico) che gli toglie la famiglia e gli affetti. Sradicato e solo, a Yvon non rimane che reagire vendicandosi impulsivamente di una società sorda alle esigenze dell'individuo e ai lamenti degli innocenti; una società che è intrisa di tale e tanto profonda aggressività da riuscire a occultare la violenza in maniera sistematica, proprio come Bresson fa, rifiutandosi di inquadrare i delitti, ma mostrandone soltanto le immediate conseguenze (ad es.: l'accetta che cala sulla vittima, il sangue che schizza sulla parete: qualcosa di simile faranno i Coen di Non è un paese per vecchi, 2007, e Haneke in Funny games, 1997). Sceneggiatura di Bresson, fotografia (per la terza volta consecutiva) di Pasqualino De Santis, che però se ne andrà prima della fine del film e lascerà il posto a Emmanuel Machuel; per le musiche il regista si affida a Bach. Bravo il protagonista Christian Patey in un ruolo la cui cifra è il non-trasmettere, il saper mostrare un progressivo climax di apatia che travolgerà, fagociterà il personaggio stesso al concludersi della vicenda. Grand prix du cinèma de creation a Cannes. 6,5/10.
Yvon, modesto operaio sposato e con una bambina, riceve senza accorgersene delle banconote false. Quando va a spenderle viene accusato di essere un falsario; nessuno gli crede e finisce in carcere. Perde il lavoro, la moglie e la figlia; tenta il suicidio, non gli riesce, e quindi evade e si vendica dei torti subiti.
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