Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film
NEI CINEMA ITALIANI DAL 31 OTTOBRE 2023
VISTO AL KING DI LONATO DEL GARDA IL 5 NOVEMBRE 2023
Certi film sono bellissimi grazie a tre scene perfette e alla bravura degli attori coinvolti. Sembra poco forse, invece è tanta roba. Ed è il caso di Comandante del napoletano classe 1978 Edoardo De Angelis, del quale circa dieci anni fa ammirai il crudo Perez. (2014) con un ottimo Luca Zingaretti come first star. Se a dei quadri ben dipinti che fanno risaltare le qualità dei soggetti, si aggiungono una regia di polso, una sceneggiatura quasi per intero asciutta e convincente, una fotografia nitida e una musica suggestiva - con il contorno di costumi e, come in questo caso, di utilizzo di sommergibili, navi, armi e divise ineccepibili - ecco che l’insieme non può che regalare un’ottima esperienza in una sala cinematografica.
Il regista Edoardo De Angelis (sinistra) con il protagonista principale
Pierfrancesco Favino, sul set di Comandante (foto trnews.it)
Il filmaker partenopeo - autore anche di soggetto e sceneggiatura (redatta a quattro mani con lo scrittore fiorentino Sandro Veronesi, alla prima esperienza nel cinema soltanto come screenwriter) – ha il grande merito di fare solo ciò che può permettersi e quindi non rischiare, nel delicato genere del film di guerra, di scivolare nell’inopportuna imitazione della greatness hollywoodiana. Di conseguenza la spettacolarità strettamente intesa di questa sua ultima opera si limita a un’unica sequenza, lo scontro a colpi di cannone in pieno oceano Atlantico fra il sommergibile italiano e la nave belga. Per il resto l’impalcatura è imbastita soprattutto sui dialoghi e quindi, in particolare, sull’ispirazione dei characters. Tanto per cominciare su quella di un Pierfrancesco Favino (l’abbiamo apprezzato quest’anno anche in L’ultima notte di Amore) di nuovo da applausi, stavolta nella divisa del pluridecorato comandante della Regia Marina, Salvatore Todaro, messinese cresciuto a Chioggia (cfr. Wikipedia). L’interprete romano è ancora una volta ottimamente spalleggiato da attori in grande spolvero - come avvenuto ad esempio nel recente Nostalgia (Mario Martone, 2022) grazie a Francesco Di Leva - , in questo caso soprattutto dal feticcio deangelisiano Massimiliano Rossi (anche lui di Napoli e sempre presente nelle opere cinematografiche di questo regista), una maschera drammaturgica straordinaria, anch’egli come Favino chiamato a riprodurre – con sorprendente efficacia - un dialetto veneto molto stretto in alcuni passaggi, tanto da consigliare l’ausilio dei sottotitoli.
Il film è stato presentato quest'anno alla mostra di Venezia
Qui Perfrancesco Favio (sinistra) e Massimiliano Rossi (foto labiennale.org)
LE PATATINE FRITTE
La storia in immagini – che si rifà a fatti realmente accaduti all’inizio della seconda guerra mondiale (1940) - si snoda con un ritmo costante e coinvolgente, non inficiato dai ricordi malickiani del protagonista che torna con la mente agli ultimi giorni trascorsi in compagnia della moglie, i quali allontanano sì lo spettatore dal contesto bellico ma perlopiù senza inceppare il pathos e l’immedesimazione. Merito di regia e sceneggiatura, inoltre, è aver arricchito il racconto con ben dosata e arguta allegria, lì dove essa esalta l’altezzosità di matrice militare – più che di stampo fascista - di Todaro e del suo equipaggio (per esempio quando l’ufficiale marcia e canta Un’ora sola ti vorrei con i suoi e poi li galvanizza con il discorso che precede la partenza dalla banchina dell’arsenale di La Spezia), ma anche una sana italianità, per esempio nella meravigliosa scena in cui il comandante ordina amabilmente al cuoco napoletano di cucinare il piatto preferito dai prigionieri belgi, delle banali patatine fritte, come indicato dai marinai fiamminghi (così si scopre che a quel tempo, in Italia, erano una ricetta sconosciuta), o ancora quando sempre Todaro si congeda dai naufraghi belgi – imminenti alleati degli allora nemici inglesi - dopo averli tratti in salvo sull’isola di Santa Maria delle Azzorre, in Portogallo.
Un momento del naufragio dei marinai belgi
Al centro, con barba e cappello, l'attore Johan Heldenbergh
(foto cineteatrodonbosco.com)
QUALCUN ALTRO NEL CAST
Il cast, per il resto, non annovera certo nomi altisonanti ma solo attori capaci di convincere la platea. Hai detto niente.
Johan Heldenbergh: conosciuto in Italia grazie al ruolo in Alabama Monroe - Una storia d'amore (2013) è il comandante della nave belga Georges Vogels, barbuto lupo di mare e, subito dopo il salvataggio, uomo diffidente e percosso nell’orgoglio, infine spiazzato e quasi commosso dalla disponibilità umana del comandante Todaro e di tutti i suoi uomini.
Giuseppe Brunetti: alla sua prima apparizione in un film d’interesse (ma quest'anno lo vedremo anche in Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, pellicola che nel cast annovera anche un certo Willem Dafoe), è il simpaticissimo cuoco di bordo napoletano Gigino. Sua una delle battute con miglior timing, quando gli riferiscono che il piatto nazionale del Belgio sono le patatine fritte: “Ma che figura, è mai possibile? Noi a Napoli friggiamo qualsiasi cosa, proprio le patate non abbiamo mai fritto… ?”, ovviamente detta con l'accento giusto.
Bella prova per il giovane attore belga Johannes Wirix (foto dire.it)
Johannes Wirix: bella parte quella affidata al giovane attore belga, al suo primo impegno per il grande schermo dopo un bel po’ di teatro (diplomato con lode in recitazione al Conservatorio Reale di Anversa, cfr. Wikipedia); il casting lo seleziona per dar corpo all’unico naufrago fiammingo che parli l’italiano, il tenente Reclercq, visto che Wirix sul serio conosce la nostra lingua, per aver trascorso un anno di Erasmus a Roma; toccanti alcuni suoi duetti con Favino.
Silvia D’Amico: veste i panni della sensuale moglie del Comandante in un ruolo un tantino sacrificato, che spicca solo nei primissimi minuti e poi nei flashback nostalgici di Todaro; l’attrice romana s’impose all’attenzione già otto anni orsono in Non essere cattivo al fianco di due giovanissimi Luca Marinelli e Alessandro Borghi).
Pierfrancesco Favino e Silvia D'Amico
in una scena di Comandante (foto nonsolocinema.com)
IL PRECEDENTE ILLUSTRE
C’è un precedente illustre nella storia della cinematografia italiana di questo genere ed è il bellissimo El Alamein - La linea del fuoco, di Enzo Monteleone, 2002. Già allora uno dei protagonisti principali fu Pierfrancesco Favino (anche in quell'occasione chiamato a una parlata per lui ‘straniera’, quella dell’indimenticato sergente trentino, Rizzo), in una delle sue prime prove d’attore – se non la prima – che lo imposero a pubblico e critica come astro nascente nel firmamento degli attori del Belpaese. La più palese differenza tra quel film di oltre vent’anni fa e quello di cui stiamo parlando, entrambi ambientati nel secondo conflitto mondiale, sta innanzitutto nell’opposta collocazione geografica – da una parte il cuore del deserto libico dell’Egitto nord-occidentale, dall’altra parte l’oceano Atlantico alcune miglia oltre lo stretto di Gibilterra - e quindi con le differenti scenografie e conseguenti difficoltà per la produzione nel rendere realistica la messinscena e nel realizzare le sequenze d’azione. Il mio timore, prima di cominciare la visione di Comandante, era quello di soffrire una vistosa differenza qualitativa tra il primo - che amai molto - e il secondo. Al contrario, ho ben presto constatato che, come Monteleone, De Angelis aveva ben presente la necessità di incentrare il racconto filmico perlopiù sui rapporti umani e sulle caratteristiche dei diversi caratteri in gioco. El Alamein supera di mezzo muso Comandante per la vibrante scena del bombardamento decisivo – in particolare per gli effetti sonori di cui è corredato - che il reggimento italiano, alleato dei tedeschi del feldmaresciallo Erwin Rommel, subì da parte dell’armata britannica del generale Bernard Law Montgomery.
Pierfrancesco Favino e Paolo Briguglia
in una scena di El Alamein - La linea del fuoco nel 2002
(foto pierfrancescofavino.it)
LA GIUSTA RICETTA
Qualcuno, anche su questo sito, ha parlato di retorica come del difetto per cui bocciare questo film. Ma la retorica, se servita nelle giuste misure e, soprattutto, senza seriosità, può avere invece un ottimo effetto. È quanto De Angelis e il resto della troupe sono riusciti a ottenere e dimostrare. La guerra non è un’esperienza come altre e vivere sotto una dittatura men che meno. Se anche in guerra dovesse esservi un po' di retorica, sarà certo più comprensibile di quella deculturata e inutile delle scaramucce nel nostro Parlamento. Che nel 1940, dopo quasi vent’anni di tronfia grandiosità mussoliniana, gli italiani fossero un tantino enfatici e fanatici mentre andavano incontro alla morte, non può certo scandalizzare, se tale assunto è inserito con dovuta sensibilità nel contesto storico di riferimento e con la perfetta dose di umorismo. Era una guerra vera, non quella delle playstation di alcuni esperti di cinema. Il comandante Vogels chiede a Todaro: «Perché ci ha salvati? Io non l’avrei fatto». Risposta: «Perché siamo italiani. Noi affondiamo il ferro, ma salviamo l’uomo». Ma andiamo, ma sììì!
Pierfrancesco Favino in Comandante
di Edoardo De Angelis (foto economiadelmare.org)
Film da non perdere e per tutti, pulito, istruttivo ed emozionante. Voto 8,8; rivedibilità 9/10.
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