Regia di Nia DaCosta vedi scheda film
AL CINEMA
Candyman non è un "cattivo" semplicemente perché così lo descrivono e rappresentano.
Una creatura che, più che apparire, necessita di essere evocata, per ben cinque volte, con lo sguardo fisso verso uno specchio.
La sua genesi parte da una leggenda popolare che si diffonde in un contesto di segregazione razziale e di ghettizzazione che ha caratterizzato la storia dei democraticissimi Usa fino ad oltre la prima metà del '900. La sua figura porta i segni macabri e devastanti dell'odio e della violenza che l'uomo bianco ha inferto sul suo "utensile" più prezioso: l'uomo nero.
La storia di quel mostro che nasce da un umile e devoto servo innamoratosi di una ragazza bianca che si ritrova incinta di lui, porta i segni di una vera e propria passione che, questa volta, trova rifugio nel male per trovare sazietà in una vendetta che sembra non aver fine.
La protagonista del film capostipite ( una magnifica Virginia Madsen in ascesa nei primi anni '90) ne uscì pazza. Ora la leggenda del mostro diventa uno spunto che pare ideale per dare sale all'ispirazione ormai affievolitasi di un pittore sposato con una facoltosa ed intraprendente gallerista, che con lui si trasferisce a vivere nel nuovo quartiere chic Cabrini Green, frutto di un rinnovamento di un vecchio ghetto nero ove la vicenda del mostro tornò appunto a fare capolino nei primi '90. E, detto fatto, la minaccia torna a manifestarsi: con tutto il suo orrore e con la forza di una vendetta che non conosce compassione. Da uno script frutto di un accurato lavoro congiunto tra il regista militante del nuovo "afro-horror' Jordan Peele, coinvolto per l'occasione anche in veste di produttore, e della regista Mia DaCosta, il nuovo reebot (ma non solo o non proprio unicamente, visto che cita apertamente il riuscito film capostipite di Bernard Rose del '92) del mostro uncinato e dal corpo pieno di vespe funziona e convince sia per lo stile realista e un po' chic che finisce per delineare sia l'apparato scenografico, sia il contesto lavorativo dei protagonisti, sia per il buon grado di tensione che la vicenda dimostra di saper gestire con mano sicura ed accurato mestiere.
La chicca di Tony Todd, sempre e solo il vero Candyman che ci piace ritrovare anche se, più che recitare, lo ritroviamo ad apparire, funziona e rende giustizia ad un personaggio che sa turbare e inquietare.
È il cinema di genere impegnato a cui Peele ci ha ormai abituato, e che finisce anche stavolta per convincerci, forte anche di una narrazione che sfrutta per farci rivivere il passato torbido del mostro, una animazione degna della prestigiosa tecnica di Michel Ocelot.
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