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La ballata di Stroszek

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su La ballata di Stroszek

di cheftony
10 stelle

“Eva, questo l’ho fatto io per darti un’idea di quello che è la mia vita. Questo rappresenta Bruno, la sua vita maledetta. Tutti quanti gli uomini mi hanno sempre chiuso la porta in faccia, tutti quanti, senza nessuna pietà! Ora sono in America. Doveva essere tutto più facile. Speravo una volta per tutte di trovare una sistemazione, di cominciare veramente a vivere! […]”
“Bruno, qui nessuno ti fa niente.”
“Oh, sì, è vero. Materialmente no, moralmente sì.”
“Ma cosa dici?”
“Sì, anche nei riformatori… le cose andavano proprio come vanno qui.”

 

Bruno Stroszek (Bruno S.) esce finalmente dopo due anni e mezzo di carcere, dietro “solenne” promessa di starsene lontano dai problemi per un po’ e in particolar modo dall’alcol, che lo porta ad invischiarsi nelle risse.
Prima di rimettere piede nel suo appartamento berlinese, una sosta per una birra diventa l’occasione per assistere al maltrattamento che Eva (Eva Mattes) subisce dai suoi papponi. Per quanto sia una prostituta, Bruno non resiste alla gentilezza e alla vulnerabilità della ragazza e le propone di trovare rifugio nel suo appartamento, che durante la sua carcerazione è stato curato dall’anziano vicino Scheitz (Clemens Scheitz).
Compositore e musicista di strada che si destreggia fra pianoforte, fisarmonica e glockenspiel, Stroszek cerca di ritrovare la sua pacifica dimensione suonando ossessivamente in casa e per i cortili, ma gli sfruttatori di Eva si rifanno vivi in un batter d’occhio, rendendo impossibile la permanenza a Berlino. Sfruttando un nipote di Scheitz che vive in Wisconsin, negli Stati Uniti, i tre reietti partono verso l’America, dove troveranno dei lavori dignitosi, una mobile home, forse una vita normale. Almeno finché le loro nature non torneranno ad emergere e cozzare con l’indifferente (o maligno) universo ad esse circostante, riportandoli in un abisso di miseria ed abiezione...

 

“Werner, I’ve read you have a chicken in every movie. Why?”
“I hate fucking chickens.” [Werner Herzog]

 

Werner Herzog

L'Alba della libertà (2006): Werner Herzog

 

Leggenda vuole che Herzog abbia conosciuto Bruno Schleinstein vedendolo in un documentario televisivo sui musicisti di strada della Berlino dei primi anni ’70, intitolato “Bruno der Schwarze - Es blies ein Jäger wohl in sein Horn”. Come non restare affascinati da un elemento così peculiare, figlio malmenato di una prostituta e cresciuto dai 3 ai 26 anni in vari istituti e riformatori? Forgiato da un’infanzia reclusa in un riformatorio della Germania nazista, Bruno è uscito solo in età adulta da quella spirale; questo grazie alle sue abilità di polistrumentista autodidatta e ad onesti lavori manuali in fabbrica per stare alla larga dai problemi con la legge.
Col vulcanico Herzog per lui sembrava potersi profilare una piccola svolta, col ruolo da protagonista nello splendido “La leggenda di Kaspar Hauser”; ma Bruno è un soggetto difficile, con una percezione viziata del mondo intorno a sé, urla senza motivo, parla di sé in terza persona. Herzog, avvezzo persino a Klaus Kinski, lo vuole ancora per mettere in scena “Woyzeck”, salvo poi preferire a Bruno S. l’altra testa matta qui citata. Sempre la leggenda vuole che Schleinstein avesse già preso licenza dal lavoro per le tre settimane necessarie per le riprese e che Herzog abbia scritto di getto “La ballata di Stroszek” per non vanificare tutto, girandolo in pochissimo tempo con una troupe assai minimale e posticipando “Woyzeck”.

 

Verrebbe da chiedersi: che film ne sarà venuto mai fuori, con queste premesse? Un film incredibile.

 

 

Posto che le parole di Werner Herzog andrebbero sempre prese con le molle, c’è un perché anche per la location a stelle e strisce, ovvero Plainfield, Wisconsin. Ovvero, la cittadina natia del famigerato assassino e profanatore di cadaveri Ed Gein. Il regista bavarese vi si trovava con un progetto in mente a dir poco malsano e mai realizzato, ma fatto sta che gli si guastò la macchina e dovette ricorrere ad un meccanico, quello stesso meccanico che qui interpreta il nipote di Scheitz.
Già, Eva Mattes è l’unica attrice professionista nel cast de “La ballata di Stroszek”, ma Herzog sa trasformare un materiale apparentemente improvvisato in un punto di forza. È quasi banale da dire, ma senza Bruno S. questo film non avrebbe senso e non sarebbe nemmeno esistito: il disorientamento, i piccoli occhietti distanti e la cocciuta e delusa propensione a rispondere con l’isolamento ad un mondo non inclusivo non sono quelli di Stroszek, ma di Schleinstein. La trama è ricamata intorno a lui prendendo in prestito molti elementi appartenenti alla sua vita, andando a costruire quella verità estatica tanto cara ad Herzog: “La ballata di Stroszek” è finzione fasulla, che consegna un disagio reale e tangibile.
Tornando brevemente agli attori non professionisti, l’emissario della banca è interpretato deliziosamente, con una sorridente cortesia di circostanza, da Scott McKain, piuttosto noto oggigiorno come speaker motivazionale.
Alcuni hanno ravvisato ne “La ballata di Stroszek” un sarcastico sguardo da parte di Herzog verso il sogno americano; in realtà Berlino ne esce persino peggio e - come sottolineato da Ebert – la tragedia è piuttosto figlia della creazione di un nugolo di persone con niente in comune (se non la solitudine) e con nessuna ragione per cui vivere, che sia in Germania o nel Wisconsin. L’emarginazione, l’alienazione e il rifiuto (anche di imparare la lingua) fanno parte di loro e nessuna terra ha davvero qualcosa da promettere per invertire questa tendenza e rendere più semplice il coriaceo aggrapparsi alla vita dei disagiati. Meravigliosa, a tal proposito, la metafora dei neonati prematuri esibita nella prima parte dal medico di Stroszek.
Un finale potentissimo e desolante suggella un gran film, chiudendo con la beffarda danza di un pollo, metafora così assurda e apparentemente fuori contesto che nemmeno Herzog sa o vuole spiegarla.

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