Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Herzog ha un bel dire di non voler parlare per metafore, però qui ce n'è un bel po', volontarie o meno che siano. Anzi, forse nel finale la metafora, sempre ammesso che sia tale, è fin troppo scoperta. Tutto il film funziona, comunque, a prescindere dalla sussistenza delle metafore, e si può dire, senza esagerare, che "La ballata di Stroszek" è uno dei capolavori di Herzog, insieme, direi, ad "Aguirre" (1972) e all'"Enigma di Kaspar Hauser" (1974), che resta il mio preferito. La storia è quella di Stroszek, piccolo musicante di Berlino finito in carcere per reati commessi durante l'ebbrezza alcolica. Una volta uscito, e tornato a casa, vicino di un anziano eccentrico che gli vuole bene, non trova di meglio che legarsi a una candida prostituta. Quest'amicizia pericolosa lo mette in contatto con i papponi che gliene fanno di tutti i colori. Emigrato in America al seguito dell'anziano vicinante, Bruno spera in un mondo migliore, ma, al di là delle apparenze, anche l'America è un sogno tradito. All'uomo fuori dai cardini, qui il Bruno Stroszek, come altrove era stato il folle avido Aguirre oppure il puro folle Kaspar Hauser, non resta che il gesto estremo di protesta, quello del suicidio. Narrato con meno violenza visiva rispetto al Kaspar Hauser, ma con altrettanta umana compassione, e con una rabbia di fondo che differenzia Herzog dal connazionale Wenders, "La ballata di Stroszek" resta un capitolo fondamentale del cinema europeo degli anni Settanta. Eccezionale la fotografia di Thomas Mauch.
Il criterio di valutazione qui fornito dal sito di Film TV: anche a noi lettori dovrebbe essere concesso, per film come questo, di esprimere il giudizio Ottimo.
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