Regia di Robert Altman vedi scheda film
Requiem per un grande regista. Altman ha recitato il suo canto del cigno con "America oggi" (1993) e ai film successivi i critici e i fan più sfegatati hanno continuato a tributare stelline ed onori in maniera molto generosa. Con questo "La fortuna di Cookie" (il titolo originale, "Cookie's Fortune", è un gioco di parole relativo ai fortune cookie, i biscotti della fortuna cinesi, quelli con il bigliettino) il regista di Kansas City (Missouri), classe 1925, torna nel suo Sud (qui siamo a Holly Springs, Mississippi) e realizza un frullataccio che ricorda "The Hot Spot" (1990) di Dennis Hopper incrociato con il "Vanja sulla 42ª strada" (1994) dell'ultimo Louis Malle (gli intermezzi teatrali, anche se qui siamo a livelli da filodrammatica), ibridato con "A spasso con Daisy" (1989) di Bruce Beresford. E quel che è peggio senza raggiungere il risultato di nessuno dei film citati. E Altman non riesce a dare un senso alla propria operazione nonostante un cast notevolissimo: Glenn Close, i fedelissimi Julianne Moore, Ned Beatty e Lyle Lovett, passando per l'ottima Patricia Neal e i giovani Liv Tyler e Chris O'Donnell.
Come spesso accade, il difetto è già nella sceneggiatura (di Anne Rapp), che ricrea una cittadina del Sud programmaticamente lenta e sonnacchiosa, dominata dall'odore del pesce del grande fiume. La storia, infatti, gira intorno a sé stessa senza dire niente di nuovo e senza dirlo bene: l'ironia del grande regista di "M.A.S.H." e "Nashville" è ormai spenta, mentre gli attori, pur bravissimi, ripeto, e soprattutto le donne, recitano personaggi caricati: da una cattivissima Glenn Close (strano, eh?), ad una Julianne Moore, svampita di maniera, a Liv Tyler, scontata ragazzina simpatica e scanzonata. Purtroppo tutto l'insieme è poco credibile, dalle manovre delle due sorelle Camille e Cora per simulare l'omicidio (quale sarebbe l'onta nell'avere una zia, fra l'altro poco amata, suicida?), alla pochezza della polizia locale che lascia le due nipoti entrare nella casa del delitto nonostante i sigilli e il piantone (un vero colabrodo), fino al finale con agnizioni varie che nemmeno le tragedie greche o le commedie di Terenzio. E se Altman deve ricorrere alle scene di sesso (non mostrate esplicitamente, per la verità) tra Liv Tyler (più bella che brava e molto, ma molto, sopravvalutata) e Chris O'Donnell, be', siamo proprio alla frutta.
Buona, tutta sul filo conduttore di un blues lento e fluido.
Per parafrasare Peppino De Filippo direi "ha detto tutto" (e non aggiunge niente con questo film).
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