Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Deciso a sfuggire dall'iter processuale istruito contro di lui dai giudici del tribunale di Milano, il segretario del Partito Socialista italiano Bettino Craxi (Pierfrancesco Favino) se ne fugge ad Hammamet, in Tunisia. Qui segue da lontano le vicende italiane, con crescendo disamore verso le cose della politica e rimarcando la ferma convinzione di essere stato vittima di un’ingiusta persecuzione politica. La malattia gli procura molto dolore, costringendolo a poche fugaci camminate. Ad accudirlo sono la moglie (Silvia Cohen) e la figlia (Livia Rossi), oltre alle guardie del corpo messegli a disposizione dal governo tunisino. Solo occasionalmente incontra qualcuno, come un vecchio dirigente di partito (Renato Carpentieri), l’ex amante (Claudia Gerini), o il figlio (Alberto Paradossi). Un caso a parte è la figura di Fausto (Luca Filippi), un ragazzo sbucato dal nulla che in una notte buia cerca di entrare in villa eludendo la rigida sorveglianza. Fausto è il figlio di un grande amico di Craxi, un ex dirigente del Partito Socialista morto suicida (Giuseppe Cederna). Con il ragazzo Craxi fa numerose passeggiate, discorrendo sul passato ed il presente dell’Italia. Gli unici momenti di autentica apertura. Oltre ai sogni, che lo riportano a quand’era bambino e rompeva i vetri delle finestre, o alla figura del padre (Omero Antonutti). Le generazioni che si parlano sempre a distanza.
“Hammamet” è un film che mette la figura di Craxi al centro della storia, non tanto per farla essere il catalizzatore designato di una biografia verista, ma per farne il motore propulsivo di un’indagine storica molto più ampia. Un’indagine che Gianni Amelio fa usando gli ingredienti stilistici a lui più cari: col piglio militante ma mai moralistico, con fare intimista ma con la chiara intenzione di giungere al cuore delle questioni, con taglio realista ma sempre pronto a condire di allegorie l’impianto narrativo. Mischiando la verità della figura di Bettino Craxi con la finzione scenica che lo porta ad interagire con personaggi di fantasia, Amelio tende l’occhio verso una delle stagioni più controverse della storia d’Italia e lo fa giocando di sponda con temi che a più riprese compaiono nei suoi film, come l’incontro-scontro tra generazioni, il respiro avvolgente della storia, l’afflato melodrammatico conferito alla messinscena. (mutuato dal suo dichiarato amore per Douglas Sirk). Tutte cose che spingono il film ad oscillare tra gli echi distinguibili di una rabbia che cova sotto e la delineazione asettica di un esilio volontario.
Un aspetto che a mio avviso emerge da questo film è la distanza adottata da Gianni Amelio nel filmare i contenuti di questa storia, che prima prende la forma stilistica di un modo non invasivo di maneggiare la materia Craxi, e poi si fa sostanza filmica dando corpo a quelle ombre più o meno concrete che popolano i sogni delle cattive coscienze. Detto altrimenti, Gianna Amelio si muove col solito garbo tra le ferite di una storia ancora da scrivere, indagandola con discrezione attraverso la tollerata mistificazione cinematografica.
Come suggerisce il titolo, la scelta narrativa dell’autore calabrese non è stata quella di documentare le azioni dello statista nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni, quando era all’apice del suo potere e di quel potere aveva arbitrariamente abusato, quando era partecipe di un sistema largamente corrotto, rispetto al quale si sentiva immune proprio perché, quella corruzione, lui aveva contribuito a far essere un fatto di sistema. Amelio si concentra sul suo esilio volontario in Tunisia, quando è spoglio del suo riconosciuto carisma e può sfogare la sua alterigia solo sulle persone che gli sono rimaste vicine. Quando coi suoi ragionamenti, attraversati da un’umoralità rancorosa abbastanza evidente, passa in rassegna i tratti essenziali di quella stagione politica : la difesa di un sistema di potere che, alle condizioni date, “non poteva essere altrimenti” ; la pratica delle tangenti viste come un vizio congenito che non poteva risolversi nell’emersione di “pochi capri espiatori” ; la scelta di fuggire per sottrarsi al giudizio “arbitrario di una banda di manigoldi”. Credo che la distanza adottata da Amelio possa servire allo scopo di farci rielaborare con occhi più distaccati la stagione di tangentopoli, a farcela considerare per quella che è stata : un’altra occasione sprecata per rivitalizzare in meglio le sorti politiche del nostro paese. Ciò che vediamo è l’uomo solo, corroso dal malanno fisico, dalla rabbia e dall’inazione. Altrove, il sistema politico italiano si va riassestando seguendo le regole consolidate del “gattopardismo”. E nel momento stesso in cui ci viene mostrato l’uomo che difende senza tentennamenti ogni sua scelta, è come se accrescesse di senso il rammarico per un’altra rivoluzione abortita.
Quanto espresso finora, troverebbe un valido appiglio nella centralità che assume uno dei tratti salienti dell’intera poetica di Amelio, quel rapporto intergenerazionale che si traduce nel come l’esistenza dei figli è condizionata dalla storia dei padri. In “Hammamet” questo rapporto è dato, non tanto dalla presenza della figlia di Craxi, che accudisce fino alla fine il padre “perché volevo salvarlo”, ma da quella di Fausto, questo ragazzo sbucato dal nulla che, invece, di quel padre “che ha sacrificato un’intera vita alla politica” desiderava la morte. La figura di Fausto lega ad un filo rosso lungo quasi quarant’anni “Hammamet” con il bellissimo “Colpire al cuore”, un film in cui Gianni Amelio scruta mettendosi alla dovuta distanza un’altra pagine triste della storia italiana, quella del terrorismo di matrice politica. La sua comparsa improvvisa e inaspettata, unitamente alla pistola che tiene nascosta nello zainetto, insieme a farsi simbolo di una rottura che non può che essere traumatica, sono indice di un cordone ombelicale con la parte più controversa della propria storia che non si riesce mai a spezzare del tutto. Ecco, è attraverso la figura di Fausto che si opera la condanna decisa di chi non ammette inganni, tradimenti e compromessi di comodo. È attraverso la centralità conferita a questo ragazzi dai tratti misteriosi che Amelio da ampiezza al suo sguardo, finendo per dare al tutto il tono melodrammatico di un’inevitabile resa dei conti.
In definitiva, nel presentarci, non il politico che usa la retorica per mistificare il senso del reale, ma l’uomo che difende strenuamente quanto di reale ancora esiste nel suo congedo dalla vita, è come se Gianni Amelio avesse voluto consegnarlo spoglio di fronte alla storia. Come dimostrerebbe la bella sequenza che precede il finale, quando in sogno gli compare il padre che lo conduce fino al centro di un palcoscenico. A fare di Craxi il re nudo di una tragedia tutta italiana. Un film molto onesto retto dall’ottima interpretazione di Pierfrancesco Favino. Sempre bravo Gianni Amelio.
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