Regia di Michael Moore vedi scheda film
Il primo documentario di Moore è assolutamente all’altezza dei successivi e in particolar modo di “Bowling a Columbine”. Attraverso un uso estremamente consapevole del mezzo cinematografico, il regista ci accompagna alla scoperta della storia degli ultimi anni di Flint, alternando momenti all’interno della città, tra i disoccupati a causa della gestione della GM da parte di Roger Smith, e le interviste alla medio-alta borghesia della stessa città, ipocrita e bugiarda.
Da un punto di vista estetico, non c’è nessun difetto. Nonostante non si tratti di una narrazione, Moore permette allo spettatore di affezionarsi ai vari personaggi, distrutti dalle scelte amministrative della GM, ma mai patetici e sempre in cerca di una terza via per continuare a sopravvivere. Il sogno americano si disgrega, ma non si può abbassare la testa.
Gli artisti e gli intellettuali di sinistra sanno denunciare molto bene e senza essere superficiali le problematiche della società attuale. Moore mostra tutte le conseguenza dei massicci licenziamenti e della chiusura delle fabbriche nelle sue città e le motivazioni, unicamente di ordine economico, che hanno portato ad una scelta di questo tipo. Ma denunciare è solo il primo passo, necessario e non sufficiente per tentare di migliorare la nostra società. Se il film denuncia, parallelamente non propone nessun’altra scelta possibile. Il problema è che le proposte non possono giungere dall’arte o dal documentario, se non lo si vuole considerare a tutti gli effetti prodotto artistico e c’è da discutere… Dopo la denuncia e l’arte viene la politica e se la sinistra odierna si mostra ancora così incapace di concretizzare tanti slogan astratti ed eterei, è molto difficile che qualcosa possa realmente cambiare.
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