Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Immediatamente consequenziale - cronologicamente ed artisticamente - al Secondo manifesto del surrealismo, firmato dagli stessi autori di quest'opera, L'age d'or è una sorta non tanto di prosieguo di Un chien andalou (poichè uno schema logico definito e stabile mancava lì, come qui), ma piuttosto un suo annacquamento. Bunuel, con l'aiuto di Salvador Dalì in sceneggiatura, licenzia così un secondo delirio per immagini, raggiungendo questa volta l'ora di durata, ma perseguendo i medesimi obiettivi del precedente Chien: disfare la forma narrativa cinematografica, impressionare lo spettatore e suggerire molto di più di quanto in realtà si stia dicendo. A tutto questo si somma la volontà di criticare le istituzioni a fondamento della civiltà occidentale (governo, chiesa, forze dell'ordine) ed il gioco è fatto. Gioco non è d'altronde una parola a caso, poichè spesso il metodo espressivo ed i contenuti stessi del lavoro sembrano appartenere più ad uno schema (o ad una mancanza di essi) goliardico e anarcoide, che ad un'elaborata strategia critica. Si può discutere per ore sul valore della rappresentazione del duca di Banglis (personaggio estrapolato dalle 120 giornate di Sodoma, di Sade), ritratto come un novello Gesù Cristo, oppure sulla simbologia della scena in cui i due amanti, baciandosi, si strappano reciprocamente le dita; ma è azzardato giustificare allo stesso modo una spiegazione logica dell'apparizione di una mucca in piedi su un letto o di un uomo inchiodato al soffitto. Ma il termine 'surrealismo' (sopra, oltre la realtà) la dice già abbastanza lunga: non sempre sono richiesti eccessivi sforzi di comprensione, a volte sono anzi del tutto inutili. 7/10.
Serie di scene e suggestioni visive attorno ad una coppia che si ama, ma è costretta dagli eventi a rimanere separata.
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