Regia di Liliana Cavani vedi scheda film
Coerentemente con lo spirito degli anni in cui fu girato, e forse quasi in anticipo su di essi, la Cavani opera una rilettura della figura di San Francesco in chiave sociale e materiale. Recentemente ho sentito una sua intervista alla Radio Vaticana, dove si dichiarava non credente, e lo era senza dubbio anche nel 1966. Il suo Francesco (mai "San", e non a caso) è una specie di riformatore sociale, come un rivoluzionario non violento che tenta di operare una riforma radicale della società a partire dal Vangelo, soprattutto quanto al denaro e al lavoro. La figura del poverello di Assisi, benché ispirato dal Vangelo "sine glossa", è tutta rivolta all'uomo, alla terra e al terreno. Egli considera solo i passi della Sacra Scrittura che parlano della povertà e della giustizia sociale. Non viene mostrato mai mentre prega, ma solo mentre scruta il crocifisso. La sua originalità confina con la pazzia. Il suo modo di vivere il cristianesimo, inoltre, lo pone in contrasto con la Chiesa istituzionale e gerarchica. Essa viene mostrata come arroccata nella teologia astratta, nelle procedure, nelle regole, e incapace di comprendere la realtà concreta dell'uomo. C'è anche una certa polemica - non troppo acre per la verità - verso l'autorità religiosa di papa e vescovi.
Secondo me sono certamente veri l'originalità, la spregiudicatezza e la radicalità del Santo di Assisi, ma la sua figura risulta troppo sbilanciata sul sociale e il terreno, mentre viene quasi dimenticato il lato soprannaturale della sua vita e della fede che egli ebbe, come si legge ad esempio nei Fioretti (gli aneddoti tramandatici). Di miracoli non si fa mai cenno, come neppure del "Cantico delle creature". Un'inesattezza della pellicola è l'idea che la Chiesa del tempo avrebbe disprezzato il corpo e la materia in genere, ritenendoli come "creazioni" del demonio. In realtà queste erano idee di movimenti ereticali combattuti dalla Chiesa stessa, come quello dei Catari (che indicavano la morte per fame come ideale, perché così ci si liberava dal corpo e dalla materia).
Lo stile della Cavani è scarno ed essenziale, e rimanda - senza eguagliarlo - a quello del "Vangelo" di Pasolini. Fa spesso uso della macchina a mano e in certi passi si serve insistentemente dei primissimi piani, tanto che ci si trova a fissare per lunghi momenti i volti e si prova il desiderio di gettare lo sguardo sull'ambiente e gli altri personaggi nell'insieme. Questa dei primissimi piani sarebbe stata quasi una costante in molto cinema post-sessantottino (mi ricordo "Anna", dove non potevo più). Lou Castel, icona di quegli anni, su indicazione della Cavani, dà vita ad un Francesco che trovo in certi momenti troppo svagato, apatico, assente, ermetico, inafferrabile. Delle volte fa dei sorrisi di cui non si capisce bene il motivo. La pellicola è quasi un auspicio ad una reinterpretazione del Vangelo in chiave terrena e sociale. In generale mi è sembrato un film un tantino spento, discutibile sotto vari aspetti, ma comunque molto iteressante e richiedente un confronto a tutto tondo con lo spettatore. Marco Bellocchio è uno dei frati. PS: Vorrei sapere se gli episodi della distruzione della casa e della predica in mutande - che a caldo mi sembrano degli sbandamenti - appartengono al repertorio reale o furono inventati in sede di sceneggiatura con l'intento di rendere il personaggio ancor più eccentrico ed estremo.
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