Regia di Woody Allen vedi scheda film
A quanto pare il teatro dà alla testa. Più che il teatro, è la messinscena della vita che crea qualche problema agli abitanti di questa sorta di realtà virtuale. C’è chi esce matto, chi tenta di salvare il salvabile, chi rivela un talento inaspettato, chi è in attesa della grande occasione. E intorno a questo piccolo universo parallelo, il mondo continua la sua incessante attività, fatta di morti cruente e resurrezioni artistiche ed umane. Affidandosi all’inevitabilità buffa dei luoghi comuni del cinema dei bei tempi che furono, Woody Allen allestisce con grazia sublime uno scherzo nero di sapido divertimento in cui si prende gioco di tutto ciò che ruota attorno al vivere teatrale. Con una cattiveria che gli è congeniale – quella cattiveria di cui non ti rendi conto subito, tutta giocata sull’allusione sottile al patetico in un contesto burlone – e un gusto d’atmosfera che gli permette di organizzare le scene con filologica passione, entusiasma per l’ottima contaminazione tra brillanti cadenze solo a prima vista lontanamente alleniane e innesti riferiti al gangster movie degli anni trenta e quaranta – indispensabile il prezioso apporto che Carlo Di Palma offre nel colorare una fotografia nebulosamente seppiata, luccicante di lustrini broadwayiani e fetente di vicoli ciechi della città buia.
Allen si identifica nel protagonista, lo scrittore intellettualoide entrato nel turbine della commedia e governato dalle manovre inconsapevoli di chi lo circonda (John Cusack perfettamente smarrito), e scommetto che nel disegno degli altri personaggi si sia ispirato a qualche suo collega (chissà, per dire, quanta gente si cela dietro la “cagna”, abilmente incarnata da Jennifer Tilly). Non si dimenticano la strepitosa enfasi che Dianne Wiest regala alla sua diva crepuscolarmente ridicola con Martini e sigaretta immancabili (Premio Oscar come miglior non protagonista) e Chazz Palminteri in un ruolo vagamente e tragicamente delirante: il piccolo gangster che cova un animo da scrittore, che per evitare di sentire ancora la recitazione della cagna, la uccide, perché non conosce altri metodi per far capire il proprio dissenso. È l’ennesima dimostrazione di come l’arte riesca a manipolare i suoi lodatori.
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