Regia di Naoki Yoshimoto vedi scheda film
L'ultimo lamento muto del j-horror.
Sanguivorous è un oggetto anomalo, un ufo cinematografico.
Yoshimoto manipola, stupra, violenta l'immagine - essa, in fondo, non è nient'altro che "materiale a disposizione dell'autore", come diceva il poeta profeta Chris Marker - così da riscrivere la grammatica filmica. Questo è un Cinema indefinito, nuovo, nonché del futuro. Insomma, un gesto sovversivo inaspettato, una rivoluzione sinestetica che, in quanto tale, destabilizza lo sguardo spettatoriale, facendo sì che esso piombi e rimanga nell'oscurità percettiva più totale, che si dimostrerà essere un buio indispensabile e fondativo, nel quale tutto il Cinema attuale è destinato a sprofondare e collassare per, appunto, poter rinascere, lasciandosi (tra)sformare e contagiare da questo "vampirismo artistico", traducibile come speranza per un'odierna immortalità cinematografica. In sostanza, per far sì che si possa tornare a vedere, bisogna prima diventare ciechi.
Sanguivorous è una pellicola disorientante, che trova la sua (non) forma nelle tenebre del quadro visuale. L'implosione moderna che sta tra il terrorismo sensoriale tipico di Grandrieux e il fascino immortale dell'espressionismo cinematografico degli anni '20 (non si può non pensare al Nosferatu [1922] di Murnau).
Il regista nipponico - di cui questo è il suo unico film - crea un'opera estremamente sperimentale (forse troppo), dall'aspetto formale epilettico ed impazzito, di cui è impossibile non rimanerne affascinati, almeno in parte. Un'opera d'avanguardia, suggestiva ed ermetica. Un gioiello sconosciuto che meriterebbe almeno una possibilità.
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