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Point Break

Regia di Ericson Core vedi scheda film

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La recensione su Point Break

di alan smithee
3 stelle

Tornano il buono ed infiltrato Johnny Utah ed il cattivo,ma a suo modo leale, Bodhi, amico-antagonista. Cambiano attori si invertono le meches dei protagonisti, rimangono i tatuaggi, il culto del corpo, e quello (asfissiante) dello spirito, ma si sente che il nuovo film è solo un roboante giro nel luna park della superficialità e dell'inconsistenza

locandina

Point Break (2015): locandina

Rifare il film epocale (più che realmente bello) e noto della Bigelow, avrebbe potuto avere un senso in termini di valorizzazione e dunque spettacolarizzazione delle molte scene d'azione (che si traducono e sostanziano nelle otto prove a cui un gruppo di fantomatici cultori del ritorno alla natura ed ai valori di appartenenza "fisica" al pianeta, si accinge a sottoporsi), che al giorno d'oggi, venticinque anni dopo il capostipite, il progresso ci ha reso disponibile, tra uso del digitale e tecnica ormai consolidata del 3D.

Ecco pertanto che la coppia virile e affascinante - rappresentata da Johnny Utah e Bodhi, resa celebre, forse persino indimenticabilmente sexy, da due attori a loro modo leggendari come rispettivamente il corvino Keanu Reeves ed il biondo ricciolone (almeno in quel ruolo ed occasione) Patrick Swayze - si ripresenta necessariamente sotto forma di volti nuovi: ecco che curiosamente (ma neppure troppo) la produzione sceglie di intervenire cromaticamente, invertendo i colori della capigliatura dei due, riservando il biondo a Utah e il moro al suo amico-antagonista. E se quest'ultimo, reso con un certo fascino dal bravo attore venezuelano Edgar Ramirez (era lui Carlos, protagonista eccezionale della serie Tv straordinaria di Olivier Assayas) sembra almeno convincere nel physique du role, in effetti il biondo Utah, reso magari anche con un certo impegno dall'attore emergente Luke Bracey, non riesce ad emanare quell'appeal che Reeves, pur senza essere un grande attore, riusciva a regalare al suo personaggio, grazie alle misteriose e riuscite mescolanze etniche del suo ceppo natale.

Luke Bracey, Edgar Ramirez

Point Break (2015): Luke Bracey, Edgar Ramirez

Ma il problema vero del nuovo Point Break, sono i dialoghi, innanzi tutto: devastanti, inascoltabili, inzuppati di una pseudo-filosofia spiccia e fastidiosa di vita da mentecatti, che risulterebbe stucchevole e puerile anche al mio gatto; per non parlare delle situazioni insostenibili e grevi: quattro esagitati che si prodigano in imprese tecnicamente arditissime allo scopo di attrarre su di sé l'interesse della gente e risvegliare le coscienze affiché si ritorni ad avvicinarsi al valore intrinseco e primordiale di una natura madre e divinità superiore: tutto semplicistico e disarmante, e formalmente facilone e farneticante: peccato che finita l'impresa ci si ritrovi poi tutti in disco a fare i bulletti, bere e strafarsi a spese dell'emiro scemo di turno, che li finanzia senza limiti, non si sa in base a quale tornaconto o capriccio.

Poche, anzi una sola, figura femminile, e per fortuna!! visto il ruolo degradato e degradante che la stessa assume in un contesto maschilista e machista davvero ottuso e straordinariamente vacuo, dove il culto del corpo ha ormai fritto inesorabilmente i neuroni dei muscolari protagonisti, bistecconi nerboruti e gonfiati, impegnati ad alternare una vetrina corporale fine a se stessa con una stentata sciorinatura di qualche frase fatta sul culto della sfida di sé stessi e dei propri limiti.

scena

Point Break (2015): scena

Devastante anche il fatto che tali personaggi arrischino alle proprie vite con sprezzo ed incoscienza che escludono ogni forma di ironia o distacco sarcastico, salvo poi piangere come bambini quando qualcuno di loro ci rimette inesorabilmente le penne.

Meglio allora la soluzione più schietta e terra a terra della Bigelow nel suo originale, di rendere la banda di spavaldi come dei validi rapinatori di banche con il culto dell'estremo e del surf: anche nel film della bravissima e talentuosa regista di Il buio si avvicina, non mancavano discorsi aulici e decisamente fastidiosi, ma qui l'azione prendeva il sopravvento sulla parola riuscendo quasi sempre a farci dimenticare certe filosofie ingenue vicine all'idiozia, superandole con un ritmo ed una adrenalina più vicine alla dimensione terrena e reale, e pertanto da qualcuno anche correttamente associate ad uno stile "maschio" e vigoroso non lontano da influssi peckimpahiani.

Qui in questo remake invece, la magia dell'effetto speciale prende il sopravvento e, una volta storditi da certi rocamboleschi sali scendi persino incompatibili con i principi ineludibili della gravità e della fisica, si finisce per accomodarsi e rimanere quasi impassibili, attendendo impazienti di raggiungere la prova numero otto e guadagnarsi il diritto ad un epilogo non certo imprevedibile.

locandina

Point Break (2015): locandina

E in contesti davvero improponibili, dove ad esempio la regia si ostina a farci credere verosimile la coesistenza, nel medesimo specchio di mare, di onde oceaniche alte venti metri solcate da indomiti surfisti e, a solo pochi metri di distanza, mari piatti come ad essere a Viserbella sull'Adriatico, dove folle di ragazzi e ragazze tatuatissimi e coatti ballano infischiandosene di tutto sopra yacths di lusso quasi avveniristici, si consuma contemporaneamente la festa dell'inconsistenza narrativa e dell'abbondanza di azione ed esaltazione visiva, dove le figure ed i personaggi perdono ogni consistenza tridimensionale, anche nei ruoli minori, anche quando ad interpretare i vari ruoli sono stati chiamati attori consumati e altrove talentuosi come Delroy Lindo e Ray Winstone

 

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