Regia di Kim Ji-woon vedi scheda film
La neve avvolge le strade notturne in una coltre quasi magica, contaminata però da un essenza mortifera che si muove silenziosa e letale, la ballata malinconica del compositore Mowg ci porta all’interno di un veicolo ma l’unica cosa che vediamo è uno specchietto retrovisore con due ali un pò kitsch illuminate a neon, ci muoviamo nella notte in cerca di una preda che presto compare all’orizzzonte, un auto bianca ferma sul ciglio della strada, all’interno una giovane donna con un capotto anch’esso bianco, bianco come la neve che circonda tutto, bianco come l’innocenza e la purezza.
Il killer si ferma e noi con lui, esce dal suo furgone e compie il suo rito di morte, la neve perde la sua limpidezza, il rosso del sangue traccia un solco definito sul terreno, un percorso che a seguirlo si rischia di perdere la ragione, di guardare in un abisso troppo profondo.
Ma l’agente dei servizi speciali Kim Soo-hyun non ha scelta, la vittima uccisa e fatta poi a pezzi era la donna che amava e dalla quale aspettava un figlio, impensabile per lui affidarsi alle indagini della polizia, impossibile liberarsi di quel peso abnorme che gli schiaccia il petto, deve mantenere la promessa fatta nel momento dell’ultimo saluto, l’uomo che ha commesso questo orrendo crimine la pagherà cara, soffrirà mille volte le pene da lui inflitte, la punizione sarà lunga e dolorosa, sarà un inferno in terra, un inferno senza fine.
Kim Jee-woon (regista di Two Sisters e Bittersweet life) firma con I saw the devil un classico revenge movie, un film intriso di una ferocia sadica che raramente si è vista sullo schermo, il famoso detto “la vendetta è un piatto che va servito freddo” quì sembra perdere ogni suo significato, perche il protagonista è alla ricerca di qualcosa di diverso, l’atto naturale e irrevocabile non può trovare soddisfazione nella semplice morte del serial killer, ma puo trovarla nelle ripetizione prolungata di tale morte.
Morte e rinascita in un loop infinito, un orrore portato al suo apice, un gioco dove i ruoli di vittima e carnefice si ribaltano e dove il diavolo guarda dentro se stesso specchiandosi in una nemesi che ha la sua stessa forma, i suoi stessi occhi vuoti, l’assoluta mancanza di pietà.
Kyung–chul è il serial killer spietato che uccide giovani donne e poi le fa a pezzi, vive in una specie di antro cavernoso come i mostri delle fiabe, ha un lavoro normale come autista di bus scolastici ma di notte con lo stesso bus compie le sue mattanze, un cacciatore selvaggio e primitivo, una bestia da fermare il prima possibile ma non è questo che vuole Kim Soo-hyun, lui vuole infliggere un dolore infinito, vuole la sofferenza perpetua, e cosi dopo averlo rintracciato e messo fuori combattimento gli fa ingoiare un segnalatore GPS e lo rimette in libertà, non prima di avergli rotto un braccio.
Tutto questo avviene nella splendida sequenza della serra, una scena di action serrato che si conclude con quello che sarà un nuovo inizio, Kyung-chul pestato a sangue si risveglia infatti in una buca (una fossa per cadaveri) e da li ne esce, sofferente ma vivo, come il mostro di Frankenstein per lui c’è un’insperata rinascita, in regalo una busta piena di soldi che gli serviranno per la fuga, una fuga che è solo un miraggio, perche il suo persecutore non lo perderà mai di vista e appena possibile tornerà a colpirlo, infliggendogli di volta in volta punizioni sempre piu severe.
Kim Jee-woon firma un grandissimo film, una pellicola che nasce come thriller ma che muta in continuazione sfiorando diversi generi, a cominciare dal dramma ben rappresentato nella parte iniziale, il dolore per una perdita incolmabile, il rapporto di comprensione fra Kim Soo-hyun e il padre della vittima ex agente della omicidi, tutti i personaggi in scena hanno il loro peso nell’economia del racconto e il rapporto fra gli stessi è ben gestito da una sceneggiatura solida.
Ma I saw the devil è un film che cambia pelle velocemente, le improvvise e tambureggianti impennate action sono un vero spettacolo per l’amante del genere, diverse le scene che si lasciano ricordare, da quella gia citata nella serra a quella violentissima nell’ambulatorio, senza dimenticare la vorticosa sequenza nel casolare isolato, la regia di Kim Jee-woon si adatta con straordinaria prontezza alle variazioni di ritmo imposte dalla storia gestendo le inquadrature con un’abilità non comune, la dinamicità dei momenti di pura azione fanno da perfetto contraltare a quelli piu riflessivi e di scavo sui personaggi, mantendendo infine un invidiabile equilibrio nella messa in scena che propone un girato elegante, poderoso e a tratti persino poetico.
Ovviamente il percorso filmico non puo fare a meno di entrare nei territori dell’horror, sono frammenti dirompenti in un insieme compatto e multiforme, la versione coreana al tempo fu tagliata di alcuni minuti per consentire l’uscita del film nelle sale senza il marchio restricted, ma da noi la pellicola è uscita uncut, 144 minuti che volano via e che spaziando dal thriller, all’action con virate nel dramma e nell’horror, non disdegnano (come tradizione nel cinema coreano) brevi flash grotteschi, in questo caso al dire il vero meno ingombranti del solito.
Storia di vendetta ma non solo, il plot dello stesso Kim Jee-woon (sceneggiato da Hoon jung-Park) propone un analisi di fredda lucidità sulle derivazioni del male, una scavo profondo nell’abisso, un viaggio senza ritorno in quei luoghi oscuri nei quali specchiare la nostra anima, con il timore di veder riflesso il volto del diavolo (I saw the devil) che ci guarda ghignante e con gli occhi spiritati, raccontandoci verità oscene che nessuno vorrebbe ascoltare.
Film dalla tecnica notevole, la forma non fa il contenuto ma è un aspetto fondamentale in un opera cinematografica, qui tutto è di alto livello, dalla fotografia dai colori saturi di Mo gae-Lee (Il buono, il matto, il cattivo e Two Sisters), alle musiche struggenti, imperiose e malinconiche di Mowg, fino naturalmente alla regia di Kim Jee-woon che nonostante la lunghezza dell'opera non da mai segni di cedimento.
Naturalmente la chiusura di questo commento non può che essere dedicata ai due interpreti principali, Lee Byung-hun (attore feticcio del regista) interpreta con glaciale freddezza ed efficacia il vendicativo agente speciale, la sua performance vive di emozioni contenute e di improvvisi scatti di ferocia pura, fino a giungere al drammatico finale dove finalmente mostra tutta la sua fragilità, consapevole forse che la sua battaglia era persa ancora prima di iniziare, a fargli da antagonista troviamo un volto che non necessita di presentazioni, Choi Min-sik (Oldboy, Lady Vendetta) è un killer spietato, indecifrabile nella sua essenza animalesca, una bestia che non ha limiti e che ben rappresenta l’essenza del male puro, con una strizzatina d’occhio al Max Cady di Scorsesiana memoria.
I due personaggi si affrontano in un gioco di vendetta e morte che giunge infine all’inevitabile conclusione, un faccia a faccia dove la verità esplode in tutta la sua distruttiva chiarezza, perchè non si può infliggere dolore a chi dolore non prova, perchè non si può dare sofferenza a chi ha fatto della sofferenza la sua ragione di vita, si puo solo guardare nell’abisso scoprendo il riflesso del proprio volto deformato dall’odio e dalla disperazione.
Voto: 8
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