Regia di Barbara Loden vedi scheda film
Road movie femminile eccezionale, intenso e tristissimo,anticipatore di un disagio in una nazione fiera che si illude di credere senza reticenza sul sogno a stelle e strisce dell'iniziativa privata come via infallibile per ottenere successo.Personaggio insicuro e fuori rotta,Wanda è eroina della sincerità e martire del sopruso maschile sulla donna.
Premio della critica alla Mostra del cinema di Venezia nel lontano 1970, all’epoca della sua uscita, e riapparso nuovamente al Lido nel 2010 nella sezione Fuori Concorso, esce in qualche sala francese, in edizione restaurata, il troppo misconosciuto road movie femminista Wanda, diretto ed interpretato dalla sciroccata e platinata Barbara Loden, moglie compianta del grande regista Elia Kazan (morì appena quarantottenne nel 1982), anche sua interprete in un ruolo di contorno ma non marginale ne Splendore nell’erba.
Un film a suo modo rivoluzionario: uno dei primi casi di regia, soggetto, sceneggiatura ed interpretazione in capo ad una donna, e storia drammatica e pessimista di una donna che decide di ribellarsi e di fuggire, senza in realtà sapere dove andare, cosa fare, e su chi potersi appoggiare e trovare riparo e conforto.
Un road movie insolito sullo sfondo disadorno e poco attraente un’America industriale dei margini che produce in silenzio per farsi bella e rendersi presentabile ed attraente altrove.
Wanda abbandona marito e due figli ancora bambini e si rifugia per una notte dalla sorella: si presenta in ritardo all’udienza di separazione, e in bigodini: conferma freddamente di non essere capace di allevare i due bambini e si arrende al ruolo di madre, a quello di moglie, e fugge senza meta. Caricata e scaricata come un sacco da alcuni balordi che si sollazzano e se ne disfano subdolamente, Wanda entra per caso in contatto con un ladruncolo nel pieno della sua azione e decide di seguirlo, disamorata verso ogni aspetto o sollecitazione, perfettamente cosciente di sentirsi inutile ed inetta a qualsiasi attitudine lavorativa.
Una Louise senza Thelma insomma, ed in netto anticipo sui tempi: una donna tutta sola che si aggrappa ad ogni appiglio pur di riuscire a rimandare il momento in cui assumersi le responsabilità che la vita quasi sempre ci chiede di affrontare.
Bellezza sofisticata e vistosa, ma fine e tutt’altro che volgare, la Loden attrice si annulla espressivamente come a rendere ancora più atono ed impersonale il tratto che la contraddistingue e che la qualifica come essere umano incapace di prendere in pugno la situazione, certa solo di ciò che non vuole ma completamente insicura ed incerta sul nuovo sentiero di vita da intraprendere.
Un film piccolo, ma fondamentale e bello, triste e struggente fino alla disperazione e ritratto, anzi baluardo timido ma risoluto, di quella parte di società americana che non è riuscita a cavalcare l’onda dell’orgoglio e dell’iniziativa che eleva e rende liberi e indipendenti.
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