Regia di Danis Tanovic vedi scheda film
Quando Lucija viene sfrattata dalla casa dove ha vissuto per vent’anni, non sa che sta per perdere un’intera patria, oltre alle sue quattro mura. Maestro della sineddoche cinematografica, Tanovic dieci anni fa ha raccontato l’intero conflitto jugoslavo nei pochi metri quadrati di una striscia di no man’s land. Ora, nel microcosmo di un villaggio bosniaco, racconta lo spaesamento di una nazione alle porte della guerra. È il 1991 e la Croazia si è appena proclamata indipendente, ma alle bombe non ci si crede, la frantumazione del Paese è ancora assurda in una comunità dove l’ex sindaco comunista conserva il busto di Tito in casa propria («così smettono di sputargli addosso»). A portare scompiglio, più dei bombardamenti, è l’arrivo di Divko, che dopo due decenni torna in patria con una macchina di lusso, una montagna di marchi tedeschi e un’appariscente fidanzata. Fa sgomberare moglie (abbandonata) e figlio (mai conosciuto) e s’installa in casa da padrone. (Ri)conquista il paesello a suon di banconote e sottrae all’ex consorte Lucija ogni cosa: casa, lavoro, dignità. Lei non s’arrende, si tiene stretto il figlio e il suo orgoglio di partigiana, che da sempre la divide da quel marito filocroato e nazionalista: «Siamo come Romeo e Giulietta» le dice Divko quando si reincontrano «solo che ci odiamo». Tanovic mette in scena, in miracoloso equilibrio fra dramma e commedia, il mondo prima: quello dell’innocenza, del cielo azzurro e dei bagni al fiume. Quello dell’adolescenza di Martin, figlio dei due protagonisti e simbolo della lacerazione imminente del Paese: conteso fra gli opposti e testardi genitori, diviso tra l’amore per il suo villaggio e il sogno dell’America, sconcertato dalla perdita del migliore amico, che da un giorno all’altro si arruola nelle milizie croate e diviene nemico. La fine è nell’aria, per quanto tersa. Gli abitanti del paesello si tengono occupati cercando il gatto scomparso di Divko, mentre le bombe iniziano a distruggere Dubrovnik. “Casa” non esiste più: fra le macerie di ciò in cui credevano, Lucija (Mira Furlan, attrice croata da noi nota per il ruolo della Rousseau in Lost) e Divko (un immenso Miki Manojlovic, che somiglia sempre più a un Walter Matthau dell’Est) si concedono un ultimo giro di giostra.
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