Regia di Yann Arthus-Bertrand vedi scheda film
Un grido di allarme (e di dolore), oltre che una magnifica dichiarazione d’amore. Più che un film, un vero e proprio manifesto. A favore e a difesa di un ambiente mai come ora bistrattato, trascurato, sfruttato ma comunque indispensabile, certamente ancora - nonostante tutto - bellissimo. È Home. La nostra Terra, co-prodotto senza fini di lucro da Luc Besson e fortissimamente voluto da Yann Arthus-Bertrand che su quest’opera - un affascinante puzzle di immagini aeree filmate in più di 50 Paesi del mondo e commentate da una voce fuori campo - si arrovella da almeno quindici anni. Da quando, cioè, in qualità di fotografo rimase stregato dal nostro Pianeta guardandolo dall’alto, scoprendone le meraviglie e constatando al contempo la fragilità di un equilibrio perennemente da contrattare. E in questo senso è importante capire come tutti abbiamo delle responsabilità: dal canto suo, il cineasta si è assunto quella di contribuire alla consapevolezza individuale e per farlo ha viaggiato per 18 mesi, realizzando filmati per un totale di 500 ore. Tutti rigorosamente ripresi dal bordo di un aereo; il che, se da una parte crea un senso di distacco e di freddezza nella pellicola (non si ha modo di appassionarsi a nessuna storia perché, fisicamente, non ci si addentra, non ci si mischia), dall’altra restituisce il meraviglioso effetto mosaico che nessuna “photoshoppata” oserebbe. Effetto cartolina? Forse, però è un rischio che si corre volentieri quando la nobiltà degli intenti è fuori discussione (anche se la scelta di omettere qualsivoglia nota negativa contro il Vecchio Continente, certo all’avanguardia ma comunque ancora carente in materia ambientale, lascia per lo meno perplessi). La pellicola, infatti, non attacca ma suggerisce, semmai implora, in gran parte spiega, con il supporto statistico che la serietà del problema impone, senza però il rigore scientifico già visto in Una scomoda verità. Ciò che conta, infatti, «non è che il 50% delle foreste sia scomparso, ma che l’altro 50% ci sia ancora».
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