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Faccia a faccia

Regia di Sergio Sollima vedi scheda film

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La recensione su Faccia a faccia

di Baliverna
7 stelle

In una vicenda di fughe e inseguimenti, un intellettuale ha la folgorazione: combattere per la giustizia uccidendo tutti gli ingiusti.

E' un po' inferiore a "La resa dei conti", ma è comunque uno spaghetti-western di tutto rispetto, specie se si pensa a tutto il marasma di pellicole spazzatura che proliferava nel genere in quegli anni. Anzi, forse Sollima è uno dei pochi che può essere paragonato in qualche modo a Sergio Leone.
Anche qui vediamo un discorso politico - forse una riflessione sulle ingiustizie sociali e sul ruolo della sinistra - ma è condotto con intelligenza e non è la solita tiritera con morale manichea e scontata.
L'elemento più interessante è il personaggio di Gian Maria Volontè, che interpreta un professore tutto dedito alla cultura e completamente avulso dal mondo che ha attorno a sé. L'imbattersi nel ricercato in fuga (Milian) lo porta abbastanza velocemente a cambiare il suo atteggiamento verso la realtà, sia nel modo di vederla che nel concepire il proprio ruolo verso di essa. Di colpo si sente investito della missione di combattere per i perseguitati e di sradicare l'ingiustizia. Però - attenzione - si ritrova ben presto a giustificare, e persino a lodare, l'uso della violenza a questo scopo. Dice infatti che l'uccidere i prepotenti, anche su larga scala, non è un crimine, ma missione che fa la storia. La sua figura, se per un certo tempo prende gli accenti positivi di chi decide di impegnarsi per il bene, dopo non molto li perde, e assume dei connotati abbastanza opachi o persino inquietanti. La storia è piena, infatti, di torbidi personaggi che hanno compiuto massacri in nome della giustizia e della libertà, non ottenendo nulla di quanto si proponevano e solo facendo scorrere fiumi di sangue. Se il film fosse degli anni '70 sarebbe stata una riflessione quasi scontata, visto appunto il diffondersi del terrorismo dopo il '68. Il fatto però che la pellicola sia del 1967 le dà in questo senso degli accenti quasi profetici, o come minimo rivela lo sguardo acuto e problematico del regista, coautore della sceneggiatura e, si dice, autore del soggetto. Egli colse, credo, ciò che allora stava solo covando nelle menti di certi intellettuali e professori universitari, e che si sarebbe manifestato di lì a poco.
Per il resto, è un film girato bene e agilmente, con padronanza della tecnica e con inventiva. Forse ci sono un tantino troppi morti, ammazzati con troppa facilità, e la prima parte è appena un po' anonima. Tomas Milian è un po' troppo pettinato, ma se la cava bene. Più riuscito, tuttavia, il suo Cuchillo di "La resa dei conti". Comunque, un film da vedere.

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