Regia di Jimmy Chin, Elizabeth Chai Vasarhelyi vedi scheda film
I messaggi universali non possono/devono mai passare di moda o essere sottovalutati. A ricordarli non si sbaglia mai, in quanto, con i dovuti aggiustamenti, riguardano tutti e valgono dappertutto, regalando suggerimenti che rinvigoriscono lo spirito, che tornano utili per affrontare a testa alta le piccole e grandi sfide che accompagnano ognuno di noi.
Il cinema è uno strumento valido per raffigurarli e veicolarli, soprattutto quando si cimenta con storie vere e con vicende che testimoniano valori indiscutibili, ancora di più se di mezzo c’è lo sport, con delle prove che travalicano confini dati per inarrivabili.
Questo avviene con Nyad – Oltre l’oceano, un film biografico che - andando oltre al contenuto umano - ha alcune qualità invitanti ma anche dei vincoli strutturali che ne limitano la gittata.
Dopo aver trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita lontano dall’acqua, Diana Nyad (Annette Bening – American beauty, I ragazzi stanno bene) decide di ritentare quell’impresa che da giovane aveva fallito, ossia nuotare per 170 chilometri, partendo dalla Florida per arrivare a Cuba, oltretutto senza usufruire di una gabbia che la protegga da eventuali attacchi di squali.
Con il supporto della sua amica Bonnie Stoll (Jodie Foster – Il silenzio degli innocenti, Sotto accusa), che la allena, consiglia e incoraggia, e di John Bartlett (Rhys Ifans – Notting Hill, I love Radio Rock), al timone della barca che la segue da vicino in mare aperto, Diana mostra una tenacia che viene da lontano e che le consente di non gettare la spugna, anche quando la resa definitiva è dietro l’angolo.
Così, dopo anni di tentativi andanti a vuoto, rischiando seriamente la sua stessa vita e la bancarotta, Diana sa di avere un’ultima occasione per coronare il suo sogno ed è disposta a tutto per non vanificare i suoi sforzi e quelli di chi è sempre stato al suo fianco.
Uscito su Netflix con un basso profilo ed emerso all’attenzione generale solo alla distanza, Nyad – Oltre l’oceano vede i registi Elizabeth Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin passare dai documentari dedicati ad azioni straordinarie (Free Solo, The rescue – In trappola negli abissi) al cinema di finzione, sfruttando l’esperienza maturata in precedenza, con tutti i fattori favorevoli e contrari del caso.
Fondamentalmente, documentano – un passo dopo l’altro, con impulsi intermittenti – l’impresa compiuta da Diana Nyad, barcamenandosi tra la sua impervia realizzazione, materiale d’archivio e dei flashback che completano lo stato d’animo della protagonista.
Ne deriva una composizione inevitabilmente riassuntiva, con una tabella di marcia bollata da intenti inconfutabili, fatta di cuore, mente e corpo, che riconosce e convalida un capitale umano assolutamente indispensabile e al passo con i tempi, ricordando come non sia mai troppo tardi per raggiungere un obiettivo (oggi riguarda sempre più individui considerando come l’età media si sia alzata), di non lasciarsi abbattere dalle sconfitte (quando attualmente c’è la tendenza ad arrendersi al primo intoppo) e di circondarsi di persone positive, in grado di fornire un sostegno attivo nel momento del bisogno (se non ci sono, vanno cercate, senza accontentarsi di quel che passa il convento).
Detto questo, Nyad – Oltre l’oceano finisce imbrigliato dalle convenzioni, tutt’altro che straordinarie, del genere biopic, ingaggiando una castrante velocità di crociera, con una cronaca puntuale ed elementi ricorrenti, a cominciare dalla successione di sconfitte e di ripartenze, che creano un effetto di ridondanza tale da stemperare alla distanza gli eventuali entusiasmi.
Comunque sia, mentre la regia è di servizio, i contributi tecnici assicurano affidabilità, soprattutto con Claudio Miranda (Vita di Pi, Il curioso caso di Benjamin Button) alla fotografia e Alexandre Desplat (Grand Budapest hotel, La forma dell’acqua) alle musiche. e le interpretazioni rimangono encomiabili. Annette Bening trasmette pienamente l’ossessione - intrisa di traumi indimenticabili e di una forza di volontà impareggiabile, di resistenza e concentrazione - di Diana, Rhys Ifans inietta un minimo di pepe, benché non sia un punto luce centrale, mentre la differenza sostanziale arriva da Jodie Foster che, con estrema disinvoltura e rimarchevole pertinenza, definisce un perno essenziale per configurare/esprimere il valore dell’amicizia e della fiducia.
Complessivamente, Nyad – Oltre l’oceano è un film pieno di aspetti da prendere in considerazione, tuttavia c’è sempre qualche conto che non torna, da qualunque lato lo si guardi. Vanta un buon tasso di fedeltà calligrafica ma omette delle informazioni, possiede un fraseggio regolare che immette occasionali escursioni (il distacco da tutto che sopraggiunge quando il fisico è stremato) e che celebra il potenziale umano, in grado – quando le motivazioni e la perseveranza sono incrollabili - di compiere sforzi spropositati, sottolineato/incrementato in modo esemplare da due protagoniste che si danno del tu stabilendo un’intesa/simbiosi totale e speciale (non per niente, entrambe sono state nominate nei principali premi della stagione).
Limpido e spuntato, colloquiale e troppo sistematico, giudizioso e compilativo per guadagnarsi un grado d’interesse superiore.
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